Chi sono e come operano i boss imprenditori che hanno fatto affari d'oro con le energie alternative. Sono uomini di Matteo Messina Denaro, il mafioso imprendibile dal 1993. La loro ultima cassaforte è stata trovata in Lussemburgo: i giudici di Palermo l'hanno sequestrata, ma l'Europa non riconosce il provvedimento della magistratura italiana
PALERMO - L'ultima caccia al superlatitante Matteo Messina Denaro si è fermata su Google maps. All'indirizzo di rue Jean-Pierre Beicht 226, Luxembourg, Lussemburgo. Lì, in una graziosa villetta a due piani, gli investigatori della Dia di Palermo hanno trovato la sede di una strana società che si occupa di energia eolica: in questi anni ha continuato a ricevere bonifici da una filiale del Monte dei Paschi di Siena che si trova ad Alcamo, provincia di Trapani, una delle roccaforti del padrino di Cosa nostra ormai latitante dal giugno 1993. Quei bonifici venivano fatti da un imprenditore siciliano ritenuto molto vicino a Messina Denaro, quel Vito Nicastri che si è ormai guadagnato il titolo di "re dell'eolico". Lui è uno "sviluppatore" di parchi eolici, li costruisce mettendo d'accordo politici e mafiosi e poi li vende - chiavi in mano - a gestori italiani e stranieri.
Nelle scorse settimane, le indagini della Dia hanno svelato il tesoro di Nicastri, una rete di società e conti bancari che è davvero un tesoro: vale un miliardo e trecento milioni di euro. Ma il pezzo forte della collezione è ancora in mano a Nicastri: è quella società di rue Jean-Pierre Beicht 226, Luxembourg. Si chiama "Lunix s. a.". Dove "s. a." sta per società anonima, che per lo 0,03 per cento è di proprietà di un'altra società, con sede a Panama, via Espana 122, Bank Boston Building, ottavo piano. Per il resto, le quote della "Lunix" sono di proprietà di Nicastri e dei suoi familiari. Secondo la Direzione investigativa antimafia, quella società è la cassaforte di Nicastri e dei suoi affari milionari. Ma il pool di investigatori guidato dal colonnello Giuseppe D'Agata non può guardarci dentro, nonostante la "Lunix" sia ufficialmente sequestrata. Almeno, lo è per la giustizia italiana. In Europa, quel provvedimento firmato dal tribunale misure di prevenzione di Trapani è carta straccia. E così non sarà mai possibile scoprire dove siano andati a finire i soldi arrivati in Lussemburgo attraverso tante strade, dall'Italia e da Malta.
Nicastri è stato uno dei primi, in Sicilia, a scoprire il business dell'eolico. Con lui, anche diversi altri imprenditori, tutti trapanesi, tutti legati a Matteo Messina Denaro. Che strana coincidenza. I magistrati della Procura di Palermo li chiamano ormai i "signori del vento", perché hanno fatto incetta di contributi pubblici per piantare centinaia di pale eoliche in provincia di Trapani, soprattutto nella zona di Mazara del Vallo. Basta scorrere le inchieste della Procura antimafia di Palermo, coordinate dai sostituti Pierangelo Padova, Carlo Marzella e dal procuratore aggiunto Teresa Principato, per scoprire la ragione di tanto successo imprenditoriale: gli uomini più vicini al superlatitante hanno inventato il patto del tavolino a tre gambe. Ovvero, un momento di incontro fra mafiosi, imprenditori e politici.
L'INDAGINE. Delle infiltrazioni di Cosa nostra nel settore eolico si è interessata anche la Direzione nazionale antimafia, che ha coordinato diverse indagini in tutta Italia sui signori siciliani del vento. Dice Maurizio de Lucia, sostituto procuratore della Dna: "Potremmo esemplificare le infiltrazioni di mafia nel settore delle energie alternative con un detto: affare nuovo, metodo vecchio. Tutte le volte che c'è un affare nuovo, lecito o illecito, Cosa nostra si muove, perché ha tra le sue ragioni fondanti l'accumulazione del capitale. E poi, l'organizzazione continua a guardare alle prospettive dell'economia, in crescita o in crisi. Per il resto, Cosa nostra si muove con lo stesso modello di sempre, ovvero con i suoi punti di forza tradizionali. Innanzitutto, la capacità militare, senza la quale non possono essere realizzati i patti. Anche quando è indebolita, per effetto di indagini e processi, Cosa nostra conserva una sua importanza nelle mente di tante, troppe persone. E così la filosofia che spinge l'organizzazione resta la stessa degli anni 60, quella che spostò Cosa nostra dalle campagne alla città, per partecipare al sacco edilizio di Palermo".
Ma perché oggi l'eolico piace così tanto ai manager di Cosa nostra? "L'eolico è sì alta tecnologia nel montaggio dei generatori e alta sapienza amministrativa nella vendita dei certificati verdi", spiega ancora de Lucia, "ma è anche altro. Ovvero, terreni sui quali si devono collocare le pale e cemento che serve per costruire le basi delle strutture. Dunque, i mafiosi possono interviene in prima persona, comprando i terreni, determinandone il prezzo. E poi, ancora, distribuendo tangenti, assicurando subappalti alle imprese amiche. Anche se in questo momento Cosa nostra ha difficoltà nella gestione del cemento dato che quasi tutte le cave della Sicilia Occidentale sono sequestrate".
L'analisi fatta dalla Direzione nazionale antimafia suggerisce possibili contromisure per fronteggiare le infiltrazioni? "L'energia alternativa è il futuro, dunque non è bloccando l'eolico o il fotovoltaico che possiamo mettere un argine alle infiltrazioni. Piuttosto, sono necessari presidi di legalità, che non sono soltanto gli spazi di intervento classico del giudice penale. È necessario agire in modo ampio: intanto, con la semplificazione amministrativa, che non vuol dire annullare le autorizzazioni. Ma un imprenditore non può bussare a 25 porte diverse per avere il via libera. Credo che siano necessarie meno autorizzazioni e più conferenze di servizio che le concedano, perché c'è più trasparenza in un collegio, anziché in singoli funzionari. Poi, è necessaria la tracciabilità dei flussi finanziari: dobbiamo sempre sapere da dove arrivano i soldi e a chi appartengono".
LE INTERCETTAZIONI. Per scoprire come hanno operato i signori del vento bisogna rileggere le intercettazioni della prima inchiesta sulle infiltrazioni di mafia nell'eolico, condotta dai carabinieri e dalla squadra mobile di Trapani. I verbali risalgono al 2006, l'indagine ha già portato a condanne definitive. Matteo Tamburello, figlio di un mafioso di rango e pure lui mafioso, si vantava con la moglie di essere stato interpellato per la creazione di un parco eolico. Ed era soddisfatto per il nuovo affare che avrebbe realizzato. Ma qualcosa lo turbava: "In mezzo c'è Vito Martino, e lui sta sbagliando. E un picciridduni (un bambinone -
ndr) e basta".
Vito Martino era l'allora assessore della giunta di Mazara del Vallo. Ma perché al mafioso non piaceva il politico? Per le sue denunce antimafia? Niente affatto. Perché il politico voleva prendersi tutte le mazzette per sé, voleva essere l'unico referente dell'imprenditore del Nord che avrebbe dovuto realizzare un impianto eolico in provincia di Trapani. E questo non è possibile. In Sicilia è Cosa nostra che fissa la spartizione. Così Tamburello spiegava alla moglie: "Lo mando a chiamare e gli dico: Vito, senti, i 150 milioni che ti danno di tangente, cortesemente tu li devi uscire ora. Altrimenti, un palo qua a Mazara un si isa". Ovvero, non si alza. "Minchia lu fazzu mettere tutto a na banna, minchia ava arristare iddu accussì". Intanto, Vito Martino, pure lui intercettato si dava un gran da fare: "Vengono le multinazionali, che fanno delle ricerche loro", spiegava al suocero imprenditore. "Ma una cosa è la materialità del... che sono dieci anni che ci lavora pure l'impresa, una cosa è all'ultimo minuto arrivare". Tradotto: le ditte che arrivano in Sicilia hanno sempre bisogno degli imprenditori locali, non solo per i lavori, ma anche per i loro contatti con i mafiosi, che finiscono per gestire tutta la pratica e per risolvere ogni problema.