venerdì 8 febbraio 2013

QUANTO C'AZZECCANO I SONDAGGI ?? MAH !!!!

Nelle ultime ore sono apparsi sui quotidiani italiani diversi sondaggi, ne abbiamo scelto due che la dicono lunga su quanto valgono, tolto l'effetto propaganda, in termini reali !

Sondaggio pubblicato sull'Huffington Post (Gruppo Espresso)
Sondaggio pubblicato sul Corsera


Quanto c’azzeccano i sondaggi? Non troppo,e un motivo c’è!

La richiesta di quantificare ogni notizia della campagna elettorale e il problema culturale del campione. Indagine su numeri imperfetti e uso politico della parola “trend”

E l’acquisto di Balotelli quanto vale? E l’uscita su Mussolini a quanto corrisponde? E la gaffe sulle bidelle quanto pesa? E il ritorno di Renzi quanto conta? E la performance da Santoro a quanto è stimata? E le battute su Monti quanto fruttano? E le inchieste su Monte dei Paschi quanto giovano? A poche settimane ormai dalle elezioni (24 e 25 febbraio) c’è un piccolo ma significativo fenomeno a metà tra il politico e lo statistico con cui ancora una volta i protagonisti della campagna elettorale sono costretti a confrontarsi a cadenza più o meno quotidiana. Il fenomeno in questione riguarda da un lato il tentativo incessante (soprattutto da parte dei giornalisti) di voler quantificare le conseguenze di una qualsiasi novità della corsa elettorale e dall’altra il tentativo  di dare una connotazione squisitamente politica a quelle che in teoria dovrebbero essere delle semplici e oneste fotografie di semplici e oneste dichiarazioni di voto.
Insomma, lo avrete notato anche voi: non c’è argomento su cui, negli ultimi tempi, i sondaggisti non siano stati interpellati per “misurare” il peso specifico di una notizia elettorale; e non c’è giorno in cui i vari Renato Mannheimer, le varie Alessandra Ghisleri e i vari Roberto Weber  non siano costretti a rispondere a domande (spesso surreali) come quelle ascoltate in questi giorni: “Quanto vale Balotelli?”. Sondaggi, sondaggi, sondaggi, sondaggi, sondaggi. 
Sondaggi spesso offerti sotto forma di opinioni e di interviste (“Secondo me Balotelli vale…”) e sondaggi spesso offerti invece sotto forma di tradizionale ricerca demoscopica.
Come spesso capita durante una campagna elettorale, i sondaggi, si sa, vengono per lo più utilizzati dagli inseguitori (oggi Berlusconi, ieri Renzi) per dimostrare che il “trend è cambiato”, che “la rimonta è possibile” e che “la distanza tra noi e loro si è ridotta”, ma anche da chi viene dato in testa per comfermare che difficilmente sarà raggiungibile.Pertanto il tuo voto può apparire determinante, e ti spinge ad andare a votare, cosa peraltro accettabile, e magari poi rimontiamo davvero o dimostriamo che eravamo irraggiungibili. Il meccanismo qualche volta funziona (nel 2006, per dire, funzionò alla grande) qualche volta non produce effetti (vedi Renzi-Bersani) ma in entrambi i casi riesce a essere innescato dai candidati anche sfruttando una vecchia “credenza” sui sondaggi italiani.
Un problema che potremmo sintetizzare così: “In Italia non esiste un sondaggio uguale all’altro, anche a causa della soggettività nella scelta dei parametri caratterizzanti la scelta del campione (sesso, età, grado di istruzione, professione, regione di residenza… e qualunque altro carattere che sia possibile o ragionevole immaginare). E quindi, non esistendo un sondaggio uguale all’altro, in campagna elettorale un candidato, scegliendo bene il sondaggio che gli fa più comodo, può tentare di dimostrare più o meno quello che crede”.
Romano Scozzafava, professore ordinario di Calcolo delle probabilità all’Università di Roma,ci pone davanti ad un interrogativo  che è la vera domanda che probabilmente si pongono tutte le persone di buon senso che ogni giorno si ritrovano di fronte a questo o a quel sondaggio: ma i sondaggi in Italia ci azzeccano oppure no? 
Chiedersi se ci si possa fidare di questo o quel sondaggista sarebbe tendenzioso, e non si può dire che i sondaggisti italiani non siano rigorosi nel compiere le loro ricerche – semmai il problema sono i giornali e i telegiornali che danno in pasto al lettore e al telespettatore i sondaggi senza spiegare bene che non si tratta di previsioni ma di semplici fotografie.
Dunque, il problema è un altro, ed è un problema che viene quasi naturale porsi andando a ripescare il numero non indifferente di “sorprese” che si sono verificate negli ultimi anni in diverse elezioni del nostro paese. Ma a ben guardare all'origine delle non rare discordanze tra numeri dei sondaggi e risultati elettorali c’è un problema reale che non è solo di carattere metodologico. Bisogna ,quindi, porsi una domanda: perchè i sondaggi in Italia riescono a fotografare quello che è prevedibile e mai,invece, quello che è imprevedibile?. Come mai? Le ragioni sono due e nascono da due  problemi: da un lato il numero non elevato di persone interpellate dai sondaggisti; dall’altro il metodo con cui viene selezionato il campione. Se sul numero di persone sentite si può discutere se questo sia sufficiente o insufficiente (in Italia la media degli intervistati varia da 500 a 1.000 persone; in Inghilterra è quasi il doppio; ma negli Stati Uniti, dove la popolazione è maggiore rispetto al nostro paese, le persone interpellate sono sempre un migliaio); si può invece discutere meno sul fatto che all’origine degli errori dei sondaggi, e all’origine anche delle notevoli differenze che esistono tra un sondaggio e un altro, c’è una questione legata al modo con cui vengono scelte le persone che fanno parte del campione. Non è solo una questione tecnica.
Il vero punto però, e la vera ragione per cui i sondaggi spesso ci offrono delle fotografie inesatte, è che i sondaggisti, in Italia, utilizzano un metodo non impeccabile:’, cioè una rilevazione diretta realizzata attraverso interviste telefoniche su rete fissa. Rete fissa, sì: vuol dire che quando vedete un sondaggio, tranne rarissime occasioni, le persone che vengono interpellate sono quelle che hanno intestato un numero di telefonia fissa”. Solo quelle, già.Di conseguenza i più giovani, e quelli che per esempio hanno solo un telefonino e non hanno intestato alcun numero di telefonia fissa e che sono poi il campione tradizionalmente più indeciso che determina il risultato di un’elezione, non vengono intercettati: e in un certo senso la ragione per cui i risultati imprevedibili spesso non si riescono a prevedere dipende proprio da questo problema qui. 

Come se ne esce?

La composizione spesso monolitica del campione di cui si nutrono i sondaggi italiani, oltre a favorire l’eterogeneità delle rilevazioni (qualcuno ha capito quanto sono distanti realmente Berlusconi e Bersani?), contribuisce anche a creare un circolo vizioso che, alla lunga, giova ai grandi partiti e produce un’altra specie di profezia che si autoavvera: che i sondaggi sono uno strumento che può influenzare il voto, al punto che sono vietati nelle ultime due settimane di campagna elettorale. Proprio perché hanno un ruolo così delicato, è assurdo che in Italia vengano confezionati in modo distorsivo e utilizzati come strumenti di propaganda. I sondaggi che ci vengono proposti si basano infatti su valori dell’ordine di 800-1.000 persone. E se considerate che l’errore ‘standard’ oscilla fra il tre per cento e il cinque per cento è ovvio che, per una questione matematica, si creino delle falsificazioni. In questo senso il risultato è paradossale: i piccoli o i nuovi partiti scompaiono dai radar dei sondaggi a meno che non abbiano risultati eclatanti ( vedi M5S). Naturalmente sarei sciocco se dicessi che i piccoli partiti sono piccoli a causa dei sondaggi, ovvio. Ma dal mio punto di vista il vero pericolo è l’utilizzo che ne fanno i committenti, ovvero trasmissioni tv e media che li usano per amplificare il loro già enorme potere di condizionamento dell’opinione pubblica – anche perché, non dimentichiamolo, siamo sempre il paese delle lottizzazioni e dei conflitti di interessi partitocratici. Quel che sarebbe auspicabile, dunque, è che si riconoscano i limiti attuali dei sondaggi e l’adozione di criteri più trasparenti e rigorosi, un sistema di controllo terzo che abbia il compito di vigilare sul rigore della raccolta dati, anche per mettere al sicuro gli elettori dal rischio che chi controlla i sondaggi sia influenzato dai suoi committenti.
Il riferimento al rischio che chi controlla i sondaggi sia influenzato dai suoi committenti è legato al fatto che non è raro ritrovarsi di fronte a sondaggi che spesso danno più peso al partito o al politico che li commissiona. La tesi del conflitto di interesse, però, non sembra avere basi solidissime, e semmai l’impressione è che le differenze tra i numeri dei vari sondaggi (che in effetti esistono) siano legate, piuttosto, ai diversi campioni scelti dagli istituti di ricerca. Dunque, come se ne esce? Ci si può fidare dei sondaggi?
Il sistema del controllo terzo potrebbe essere una buona opzione ma, com’è ovvio, non è sufficiente a garantire un campione significativo finché continua a rivolgersi ad abbonati al telefono con utenza fissa. Dal punto di vista culturale, invece, si deve tener presente che i sondaggi hanno solo un carattere probabilistico. Anche se essi tentano di documentare gli effetti della campagna elettorale, non possono, per loro natura, prevederne gli esiti. In definitiva, occorre considerare i sondaggi per quello che sono: fotografie sfocate, non vaticinii”.


Nessun commento:

Posta un commento