Il mensile Diario nel numero del 3 ottobre 2008 ha pubblicato un'inchiesta su Salemi, la città amministrata dal Sindaco Vittorio Sgarbi, sul suo primo cittadino, e sul suo principale sostenitore politico, Pino Giammarinato. Lo propongo a tutti i salemitani :
Magnitudo Sgarbi. Un terremoto mediatico scuote di eccitazione Salemi, provincia di Trapani, cuore assopito della Valle del Belice. Il ciuffo più presuntuoso d’Italia, icona dandy del XXI secolo, gioca a fare il sindaco di una cittadina di 12 mila residenti che fu capitale d’Italia per un giorno. In piazza Dittatura una lapide ricorda che il 14 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi arrivò qui da Marsala con il suo seguito di valorosi e si proclamò, in nome di Vittorio Emanuele re d’Italia, dittatore del Regno delle Due Sicilie («Siciliani! Io vi ho guidato una schiera di prodi accorsi all’eroico grido della Sicilia, resto delle battaglie lombarde. Noi siamo con voi! Non chiediamo altro che la liberazione della nostra terra. Tutti uniti, l’opera sarà facile e breve. All’armi dunque!»). Più che sui Mille di risorgimentale memoria, il condottiero
poté contare soprattutto su quel pezzo da novanta del Barone Sant’Anna, che si unì a lui con la sua banda di picciotti: consenso popolare assicurato. Deve essere destino, da queste parti. Anche il neo sindaco Vittorio Sgarbi, precipitato con tanto di corte a Salemi dopo il benservito milanese di Letizia Moratti, non sarebbe qui senza la benedizione di Pino Giammarinaro, uno tra i più controversi, ombrosi, potentie inquisiti uomini politici siciliani.Esponente di rispetto, ed ex deputato regionale, della vecchia scuola Dc e rampollo allevato dai cugini Nino e Ignazio Salvo, i padroni di casa di Salemi e di buona parte dell’isola,
Giammarinaro emigra da manovale in Germania negli anni Sessanta. Al ritorno in patria, alla fine di quel decennio, si reinventa imprenditore ristrutturando il campo sportivo con la benedizione degli esattori andreottiani. Negli anni sviluppa un portafoglio di investimenti ricco e articolato, con interessi preminenti nella sanità e nelle costruzioni. Da sempre ritenuto vicino ad ambienti mafiosi, nel suo curriculum non mancano amicizie pericolose, accuse infamanti, patteggiamenti, regimi di sorveglianza speciale e obblighi di dimora, latitanze balcaniche, clamorose assoluzioni e, l’inevitabile, rinascita. Gironzolando per le strette stradine di Salemi, nel giorno dell’insediamento del nuovo Consiglio comunale, con l’afa di luglio restano appiccicate addosso poche certezze: una di queste è che Giammarinaro a Salemi continua a dettar legge. E qualsiasi velleità, politica o imprenditoriale, al suo vaglio deve passare.Ne sa qualcosa Ninni Maniaci, esponente prima della Margherita e ora del Pd locale, e vicesindaco della Giunta uscente nata dall’accordo tra pezzi di centrosinistra e liste civiche formalmente opposte al clan Giammarinaro. È Maniaci che, per esempio, si è attirato strali e qualche sospetto per avere firmato la richiesta di inserire Salemi tra i comuni beneficiari dei fondi per le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Le carte le ha preparate l’entourage di Sgarbi e Maniaci, con la sua firma, gli ha confezionato una succulenta promessa elettorale da offrire in pasto a una cittadinanza abbagliata da cotanta luce: tre milioni di euro a Salemi per ricordare degnamente le gesta garibaldine. «Era un atto dovuto», spiega Maniaci, «l’ultimo giorno utile per presentare la richiesta e se avessimo aspettato l’insediamento della nuova amministrazione avremmo perso l’opportunità. L’ho fatto per il bene di Salemi e senza alcun imbarazzo.» Sgarbi la spiega così: «Giammarinaro ha perso più volte a Salemi le elezioni per il sindaco, non ha mai avuto nelle sue fila personaggi di spessore, ma ha sempre potuto contare sulla maggioranza in Consiglio comunale. Anche per questo più che a comandare, ha sempre tenuto a far sapere che comanda. È una differenza sottile, ma è importante per comprendere il personaggio.»
Più che i consiglieri, è vero, negli enti locali le figure chiave sono i tecnici e i funzionari. È lì che Giammarinaro, negli anni, ha piazzato scientificamente i suoi uomini. Uno di questi, per esempio, è Salvatore Cascia, figura emblematica anche per cogliere le connessioni che innervano il potere politico e gli affari di questo pezzo di Sicilia, al di là delle volatili bandiere di partito. A lungo ingegnere capo del Comune, alla fine degli anni ’90 Cascia è osteggiato dall’allora sindaco Gino Crimi (sostenuto da una strana coalizione tra An, Ds e Popolari), perché considerato una quinta colonna di Giammarinaro. Cascia viene sistemato alla Provincia di Trapani, allora regno di Giulia Adamo, che però con Giammarinaro non ha mai legato. Il 2 novembre 2000, nel giorno dei morti, Cascia viene fermato da una pattuglia della polizia mentre viaggia a bordo della sua auto. Gli agenti lo trovano in possesso di cinque buste, ancora sigillate, provenienti da una gara d’appalto allora in corso per i lavori di manutenzione di una strada provinciale. Immediatamente sospeso, la vicenda si perderà nelle nebbie giudiziarie. Per lui, adesso, si parla di un probabile ritorno alle familiari stanze, dove per qualcuno non ha mai smesso di fare e disfare.
Cascia è poi considerato vicino anche ad Antonino Scimemi, politico e imprenditore finito in carcere come «mente» di una truffa ai danni dell’Unione europea, e da venti milioni di euro, sui fondi per lo sviluppo. L’inchiesta della Procura di Marsala coinvolge quattro aziende, tra cui spicca la Energia Pulita srl di Scimemi, che si sarebbero dovute occupare – è per questo che percepivano i finanziamenti comunitari – di produrre, dagli scarti di macellazione, rifiuti vegetali e ospedalieri, biomassa da utilizzare in energie alternative. Un aiutino per costruire il suo megastabilimento da sei milioni di euro alle porte di Salemi gli sarebbe arrivato proprio dal settore Urbanistica del Comune, dove qualcuno avrebbe dimenticato di
mettergli in conto gli oneri di urbanizzazione, qualcosa come centomila euro sottratti alle entrate pubbliche.
Anche quello di Nino Scimemi è un curriculum politico di tutto rispetto. Cresciuto nel Pri, poi fondatore e segretario provinciale dell’Udeur trapanese, finisce in minoranza e manca nel 2006 l’elezione al Senato. Dopo la caduta del governo Prodi, passa al Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo e avanza pretese di candidatura a sindaco di Salemi, ma la bufera giudiziaria gli tarpa le ali. Per il momento.
«Una volta in Sicilia le decisioni si discutevano nelle segreterie politiche, oggi comandano soltanto deputati e assessori. Il potere è personalistico e i confini tra partiti e schieramenti
avversi sono estremamente fluidi.» Un’altra storia-Sicilia.
«Politici di primo piano si combattono in pubblico e trattano in privato, si spartiscono la posta e il territorio, come ai tempi della Dc, solo che allora era tutto chiaro, adesso si fa fatica a seguire il filo delle alleanze.» I nomi che contano, in effetti, sono pochi, ma le rispettive sfere d’influenza sono, invece,larghissime e gli interessi spesso si intersecano a meraviglia: il senatore Nino Papania
del Pd, di Alcamo, il senatore Antonio D’Alì e l’attuale presidente della Provincia di Trapani Mimmo Turano, il deputato regionale Pd Camillo Oddo, eletto vicepresidente dell’Ars, Assemblea regionale siciliana con un accordo bipartisan.
Ci sono alcune certezze che a Salemi impregnano perfino i muri. All’Extra bar, istituzione di piazza Libertà, per essere le dieci del mattino di un giorno feriale c’è fin troppo passìo. Andrea Ardagna ha 23 anni ed è uno dei redattori di Belice c’è, un periodico locale vicino a Giammarinaro. Lui i Salvo non li ha conosciuti «ma se chiedi in giro alla gente ne parlano come dei benefattori. Davano lavoro, davano da mangiare. Anche se ci andava un ragazzino di otto anni, loro avevano qualcosa per lui. Adesso non c’è più niente.» Benefattori. Proprio come si pensava quasi un quarto di secolo fa, quando i Salvo furono fatti arrestare
da Giovanni Falcone, e la Sicilia non fu più la stessa
L’atmosfera è quella che è, il sole abbaglia ettari di vigneti a spalliera e perfino le enormi pale del parco eolico restituiscono un senso di immobilità perenne.
Per il sindaco Sgarbi quegli «orrendi mulini sono la nuova mafia. Chi pensa di venire a deturpare la straordinaria bellezza di questi luoghi con altre pale inizi pure a infilarsele in quel posto.»
Secondo l’assessore Oliviero Toscani quelle pale non sono poi così brutte: «Mi fa più paura il traffico, il caos, qui è un gran casino». Lui è quello che dovrebbe metterci la creatività.
Nel frattempo la nutrita schiera di cortigiani fa a gara a fotografare e a registrare le battute più esilaranti del sindaco,in un crescendo di irrefrenabile ilarità. C’è da sposare una coppia di giovani salemitani, ma nel chiostro stracolmo di invitati e curiosi i flash dei fotografi puntano le smorfie del primo cittadino con fascia tricolore: «Il matrimonio è un ergastolo».
E allora applausi, risate, coriandoli a forma di cuore, palpatine e ammiccamenti. «I Salvo? Dimenticati. Giammarinaro? Un galantuomo accusato ingiustamente. La nostra presenza qua è stata già più giovevole di vent’anni di antimafia.»
Attorniato dalle telecamere Sgarbi è il solito fiume in piena:«Maffioso vuol dire bello! La mafia nasce come reazione alla presenza di Garibaldi, all’unità d’Italia, come un tentativo di crearsi una legge autonoma non contaminata, all’epoca, dalla violenza e dall’assassinio. C’è una mafia della prima metà del ’900 che non persegue l’omicidio. La mafia ha una ragione storica, degradata nella violenza più terribile e dopo gli ultimi omicidi di Falcone e Borsellino è tornata una pax per cui Provenzano ha tentato di strappare alla mafia l’elemento criminale dell’assassinio.» Il don Binnu riformatore non è l’unico
coup de théâtre. «Qui dall’inizio della campagna elettorale è un susseguirsi di cose mai viste», spiega Rosario, il fotografo del paese: «Lucio Dalla, Alba Parietti, feste, eventi, musica, televisioni. È l’effetto Sgarbi.»
Dura,del resto,la vita di un sindaco di provincia.
Sandra Rizza, sul Messaggero, gli ha fatto un po’ di conti in tasca. Indennità mensile: 3.253 euro (contro lo stipendio di 3.900 da assessore a Milano), pensione da parlamentare per pagare la casa di Roma e ventimila euro al mese per i cortigiani. Questa storia della Sicilia che costa poco è una bella fregatura poi: all’hotel Kempinski di Mazara del Vallo in cui alloggia Vittorio (il tre stelle di Salemi è veramente troppo cheap) i prezzi sono da paura, una singola quattrocento euro, la suite penthouse oltre quattromila a notte. Dalle gesta eroiche di Garibaldi ai gesti erotici di Sgarbi: ai paesani non pare vero di lasciarsi ipnotizzare da un reality show casalingo. Echi di Billionaire nelle ville del Belice, storie di corna e mariti ruggenti, faide di femmine e pettegolezzi a non finire.
Il copione, alla fine, è lo stesso primo cittadino a recitarlo. «Salemi ha un sindaco notevolissimo, che sono io, e uno notevole, che è Nino Scalisi»: ovvero il vicesindaco, che la spiega a modo suo. «Sgarbi lo ha detto subito, non sarà sempre qua, lui porterà il nome di Salemi in giro per il mondo. Io mi occuperò delle cose di tutti i giorni. Le faccio un esempio: ieri mancava l’acqua, se ne poteva occupare Sgarbi da Milano?»
Scalisi, manco a dirlo, è un fedelissimo di Giammarinaro, e tra le prime «cose di tutti i giorni» di cui dovrà occuparsi c’è la Commissione sull’articolo 5. Si tratta dell’organo, presieduto dal sindaco o da un suo delegato, che delibera sulle richieste di finanziamento per la ricostruzione del patrimonio immobiliare
di Salemi dopo il terremoto del 1968. È vero, i soldi sono arrivati col contagocce, ma sono anche passati quarant’anni. La questione è spinosa perché con le ristrutturazioni qualcuno ci ha marciato, e non poco. Uno dei casi più clamorosi vede coinvolto un altro amico di Pino Giammarinaro, il preside Totò Angelo, candidato sindaco sconfitto nel 2003. La magistratura vuole vederci chiaro su un finanziamento di trecentomila euro, che Angelo avrebbe ricevuto per la ristrutturazione di un immobile, disposto dal commissario regionale Salvatore Rocca, nominato da Totò Cuffaro dopo la mozione di sfiducia
che mandò a casa il sindaco Gino Crimi.
Nel Chiostro di Sant’Agostino alle sei del pomeriggio si
insedia il nuovo Consiglio comunale. Il sindaco scalpita, sorride
e si mette in posa, accetta di presiedere la giuria delle selezioni
provinciali di Miss Italia a Selinunte: «Solo in cambio
di quattro ragazze», dice a un Giammarinaro protetto da un
cordone di amici. Eccolo lì lo stratega. Dietro le quinte, come
sempre. L’affetto e gli abbracci degli amici lo proteggono da
flash e taccuini.
È il giorno in cui si gode il trionfo per la genialata Sgarbi,
ispirata dal vecchio sodale Pino Pizza (colui che rischiò di
far rinviare le ultime elezioni politiche dopo che il Consiglio di
Stato rimise in corsa la sua lista Dc) che ha spiazzato centrosinistra.
«Il Sindaco è lui, può fare quello che vuole, non è vero che
ci sono io dietro, dopo quello che mi è successo ho scelto di stare
fuori, ho solo aiutato un po’ di amici.»
Amici e guardati, si dice da queste parti. Ed è proprio a causa
di qualche amicizia disinvolta che la magistratura, nel 1981,
rivolse a Giammarinaro le prime attenzioni, accusandolo di favoreggiamento a un mafioso nel maxiprocesso di Palermo. A
quel punto la sua ascesa imprenditoriale era già avviata. Aveva
costruito un villaggio turistico nei pressi di Scopello in società
con Ignazio Lo Presti, genero dei Salvo, che insieme al fratello Gioacchino, tramite la Imco spa, comparirà nell’inchiesta che nel 1983 porta alla luce – e in galera – la rete di prestanome degli esattori di Salemi. Ignazio Lo Presti sarà poi inghiottito dalla lupara bianca. Non sarà l’unico misterioso omicidio in quell’ambiente magmatico di politica e affari: alla fine degli anni ’80 muore in un agguato il consigliere comunale Psi Francesco Paolo Clemente; nel 1993 è la volta di Enzo Pierucci, anche lui consigliere comunale della Dc e legatissimo ai Salvo; nel 2002 tocca a Salvatore Capizzo, infermiere di Salemi
che gestiva un centro di emodialisi a Mazara del Vallo e stava cercando di aprirne un altro a Trapani.
«Nella sezione Dc di Salemi suo padre spazzava il pavimento», ricorda Ninni Maniaci, «il potere se l’è guadagnato poco
per volta, all’inizio non era certo un personaggio di primo piano.» I Salvo puntano su di lui dopo aver «posato» Giuseppe Cascio, il loro storico sindaco di Salemi, che con quarantamila voti fallisce l’elezione al Parlamento. Oggi per lui Sgarbi promette un incarico di prestigio, mentre il figlio Lorenzo è già approdato
per la prima volta in Consiglio comunale.
Fiutato l’odore del business della sanità, Giammarinaro ricopre a lungo la carica di presidente del comitato di gestione
dell’allora Usl 4 di Mazara del Vallo, nominato grazie a un accordo col Pci, contro una parte della Dc. È da lì che comincia a tessere la sua tela di amicizie politiche e imprenditoriali, piazzando
i suoi uomini in posti chiave di varie Usl della Valle del Belice. Il guinzaglio è lungo: fate quel che volete, ma a decidere sono io. In quegli anni, secondo il collaboratore di giustizia Rosario Spatola, «entra nella famiglia». Il pentito Bartolomeo
Addolorato dichiarerà che «nessuno me lo ha mai ritualmente presentato, mi hanno semplicemente detto che era Cosa Nostra e che tutta la famiglia di Mazara del Vallo doveva impegnarsi a farlo votare». Tracce indelebili che riemergeranno nel processo Andreotti, in cui i pm dimostreranno la vicinanza del senatore a vita con i Salvo anche attraverso i suoi rapporti con Giammarinaro. Nell’archivio del Senato della XIV legislatura i documenti ricordano che il tribunale di Palermo avvalorò la ricostruzione dell’accusa a proposito delle elezioni regionali del 1991, quando Giammarinaro ottenne un risultato straordinario:
50.624 voti di preferenza su 109.261 voti di lista. Rimane negli annali la manifestazione di chiusura della campagna elettorale a Trapani, in un Palagranata stracolmo di 2.500 sostenitori e con la partecipazione dell’allora presidente del Consiglio Andreotti e di Salvo Lima. I giudici accertarono inoltre che per lui si mobilitarono grossi calibri di Cosa Nostra come Angelo Siino e il capo mandamento di Mazara del Vallo Francesco Messina. A quell’epoca, il suo nome era già emerso nell’operazione che aveva portato in galera i cugini Salvo, come socio della Fime spa insieme a Giovanni Vardirame.
La tempesta arriva nel 1994. La Dda (Direzione distrettuale antimafia) lo accusa di associazione mafiosa grazie alle rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia. Giammarinaro sceglie la latitanza in Croazia, anche perché all’inchiesta della Dda se ne aggiunge una della procura di Marsala. Con l’operazione Volpe la Guardia di Finanza accertò che tra il 1987 e il1992 l’Usl 4 era stata gestita in maniera illecita e personalistica. Per i reati di corruzione, concussione, associazione per delinquere e abuso d’ufficio, patteggiò poi la pena di un anno e dieci mesi e risarcì duecento milioni di lire alla Usl.
Giammarinaro finisce clamorosamente assolto, invece, nel processo per associazione mafiosa. Ad accusarlo c’è anche un testimone, Benedetto Lombardo, che, imputato di reato connesso, si avvarrà della facoltà di non rispondere in aula, così come due collaboratori. A salvarlo sono gli effetti del «giusto processo», ovvero la modifica dell’articolo 111 della Costituzione, secondo cui le dichiarazioni rese in fase istruttoria devono essere confermate in dibattimento. Così nel 2000, già in primo grado, il pm
Antonio Ingroia fu costretto a chiedere l’assoluzione. «Questo processo rappresenta emblematicamente la distanza della verità processuale dalla realtà delle cose», scrisse Ingroia nella sua requisitoria.
Ritenuto comunque soggetto pericoloso, il tribunale di Trapani dispone per lui quattro anni di sorveglianza speciale con obbligo di dimora a Salemi. Niente che possa impedire, a lui, di ricandidarsi alle elezioni regionali del 2001 e, al suo partito in corsa con il simbolo del biancofiore, di indicarlo come
capolista. Giammarinaro ottiene così un primato ineguagliato: al tempo stesso candidato e sorvegliato. E pure denunciato, perché nonostante l’obbligo di dimora, si fa pizzicare a Trapani dal dirigente della squadra mobile Giuseppe Linares, privo dell’autorizzazione a uscire da Salemi. Alle elezioni, comunque,
non sfonda. Per una manciata di voti il seggio del Biancofiore invece che a Trapani scatta a Palermo, favorendo l’elezione del maresciallo Antonio Borzacchelli, condannato a dieci anni nel marzo scorso dal tribunale di Palermo per la vicenda delle talpe nella Dda a disposizione dell’ex governatore Cuffaro.
Dopo i guai giudiziari Giammarinaro si inabissa, adottando il metodo dei suoi antichi maestri: il suo nome scompare quasi del tutto dalle compagini societarie, ma oggi, a Salemie non solo, fanno riferimento a lui centri di salute mentale, case famiglia, imprese edili, laboratori di analisi, società di servizi. Il business più fiorente, manco a dirlo, è quello delle convenzioni regionali Dietro le quinte, allora. Tanto che perfino la stampa sembra ignorarlo, più interessata alla giunta glamour e creativacon Oliviero Toscani, Philippe Daverio e Peter Glidewell.
Superata la muraglia umana che lo circonda, Giammarinaro smentisce una candidatura alle europee del 2009. Si rabbuia quando il discorso cade sul tema dell’eolico. Nel gesto improvviso con cui perquisisce il cronista in cerca di un registratore c’è tutta la Sicilia violenta e ancestrale, poi sibila diffidente: «Io non me ne occupo, sono sempre gli stessi a fare gli affari, le imprese».
Tema caldo, quello delle energie alternative. Non è più un mistero che questo nuovo mercato muova interessi e straordinari flussi di denaro. Anche se in Italia le fonti eoliche non sono in grado di produrre più del 3 per cento del fabbisogno energetico, per le multinazionali del settore è il Paese dei balocchi.
In Italia lo Stato paga i megawatt prodotti molto più che negli altri Paesi europei e nonostante le forti resistenze ambientaliste si è sviluppata una rete di intermediari che acquistano permessi per l’installazione delle centrali, usufruendo di contributi .pubblici, per poi rivenderli alle società installatrici.Da queste parti il re del vento si chiama Vito Nicastri, imprenditore alcamese figlio di un elettricista e fino a poco tempo fa referente siciliano della Ipvc di Oreste Vigorito, il numero uno dell’eolico in Italia. Entrambi sono finiti in un’inchiesta della procura di Avellino per truffa aggravata finalizzata all’acquisizione di contributi per circa trenta milioni di euro.
L’accusa è di aver presentato, nelle richieste di finanziamento, falsi contratti di locazione dei terreni su cui si sarebbero dovute installare le turbine eoliche. Nicastri non è nuovo a guai con la giustizia: nei primi anni ’90 fu indagato per corruzione e se la cavò con un patteggiamento. Adesso dovrà provare a smontare le accuse di aver falsificato dati tecnici sugli impianti e contratti di affitto di terreni. La procura gli contesta
di aver così ottenuto, illecitamente, un centinaio di milioni di contributi e di aver rivenduto i progetti alle imprese che installano le centrali, tra cui la Ipvc di Vigorito. Nel frattempo Nicastri si è già trovato un diversivo negli impianti per l’energia fotovoltaica: nella Sicilia priva di un piano energetico regionale, è un’alternativa che il sindaco Sgarbi ha già fatto sapere di apprezzare. Intanto, pare che intermediari e imprese del settore stiano già rastrellando 90 ettari di terreni tra Salemi e Mazara del Vallo. Nella terra
illuminata dalla corte dei miracoli potrebbe essere il sole il prossimo grande affare.