domenica 30 dicembre 2012

TUTTO TUTTO NIENTE NIENTE - Antonio Albanese 09/12/2012

sabato 29 dicembre 2012

SCENARI FUTURI?!?!?!


DI MARIA G. MAGLIE

Bersani tradirà Vendola (con Monti e dopo il voto)

Prima con Sel, poi col Prof: così il Pd frega gli elettori. Il segretario fa il gioco delle tre carte.

Stiamo con i duri e puri e contro Monti, ma saremmo pronti a mollare i duri e puri, se non oggi domani con Monti. E’ il gioco delle tre carte, è carta vince carta perde, è paghi uno porti a casa due, insomma è un imbroglio; protagonista principale il Partito democratico di Pierluigi Bersani nella parte della moglie vezzosa ma pronta all’adulterio, coprotagonista il marito orgoglioso ma probabilmente presto cornuto, ovvero il Sel di Nichi Vendola, aspirante amante addirittura una folla, l’agenda Monti, ma vere vittime del pasticciaccio, dell’imbroglio, gli elettori italiani, in specie quelli che crederanno di votare una programma e rischieranno di ritrovarsene un altro. (...)
Ha pochi dubbi, Maria Giovanna Maglie: il Pd fregherà Vendola, spiega su Libero di sabato 29 dicembre. Come? Il matrimonio, Bersani, lo celebrerà con il Professor Monti. Ma soltanto dopo il voto.


DAL BLOG DI BEPPE GRILLO 2



Anna Finocchiaro, approdata per la prima volta in Parlamento nel 1987 con il PCI, derogata, scortata, siciliana, si presenta a Taranto per le Buffonarie del pdmenoelle. Non per sua scelta: "Me lo ha chiesto il partito di candidarmi qui". Il "partito" non le ha assolutamente chiesto di candidarsi a Taranto per assicurarle "una candidatura blindata", ma perché come spiegalei stessa: "la scelta di candidare alle primarie una dirigente nazionale come me qui a Taranto credo che sia il segno di un investimento che il PD fa". I tarantini hanno capito l'importanza e la serietà di questa scelta e delle proposte pidimenoelline e hanno accolto la Finocchiaro con urla di giubilo come: "Via dalla nostra città!","Assassini!".

QUANDO SI DICE AVERE UN COGNOME IMPORTANTE!

pensieri spudorati

Il fratello di Borsellino: «Grasso? Ha detto
cose gravissime. Qui non è più gradito»

«Berlusconi non ha fatto niente contro la mafia, anzi, l'ha favorita»

Salvatore Borsellino
PALERMO - «Grasso? Ha detto delle cose gravissime. Il procuratore si è voluto sdebitare visto che è in quel posto grazie ad una legge fatta dal governo Berlusconi, una legge contra personam che ha impedito a Caselli, il naturale procuratore antimafia, di diventarlo». Alla Zanzara su Radio 24 Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, attacca così Pietro Grasso, il procuratore antimafia che nei giorni scorsi aveva parlato di un «premio» all'ex premier per la legislazione antimafia sui beni sequestrati, dichiarazioni poi precisate dallo stesso Grasso. Per Borsellino, Berlusconi «non merita alcun premio», anzi. «È una cosa ridicola - dice - sostenere che ha fatto qualcosa contro la mafia, mentre non ha fatto altro nel corso del suo governo che continuare a pagare delle cambiali che erano state contratte nel corso di una trattativa tra stato e mafia. Lui la mafia l'ha favorita, basta guardare molte delle leggi che ha fatto. Si è solo preso il merito di operazioni di polizia e magistrati, successi ottenuti nonostante le azioni del suo governo. E poi Berlusconi è sodale di Marcello dell'Utri, persona condannata a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa».
Ma Grasso vuole entrare in politica? chiedono i conduttori. «Forse vuole fare il ministro della Giustizia - risponde Borsellino - il suo mandato sta finendo e si sta curando del suo futuro». «Dopo questo attacco - aggiunge - faticherei a stringergli la mano. Se Grasso si presenta agli anniversari di Falcone e Borsellino? Dopo questa esternazione non è più persona gradita. Alzeremo le nostre agende rosse e gli volteremo le spalle, come abbiamo già fatto in passato di fronte a personaggi non degni di esserci. Gli riserveremo questo trattamento anche per l'attacco indebito che ha fatto a un magistrato coraggioso come Antonio Ingroia».

DAL BLOG DI BEPPE GRILLO !

TUTTI CONTRO TUTTI

                           Le foglie di fico





La biblica foglia di fico serviva per coprire i genitali di Adamo ed Eva scacciati dal Paradiso Terrestre. Per nascondere le loro vergogne. L'utilità della foglia di fico in politica è evidente. Una verniciatura arancione o montiana e il vecchio torna come nuovo. E' un gioco di specchi, una vecchia tecnica di marketing. Cambio il fustino, ma il contenuto è sempre lo stesso: il partito. Nel caso di Rigor Montis l'operazione serve a salvare Azzurro Caltagirone e l'UDC di matrice cuffariana e clericale dall'uscita dal Parlamento, nel caso di Ingroia a creare un minestrone con tre partiti, Idv, Verdi e Prc che non hanno da soli alcuna possibilità di superare lo sbarramento elettorale. In più ci sono gli arancioni, in sostanza due sindaci più i loro congiunti, una famiglia Cesaroni allargata. Chi fa la foglia di fico non sempre ne è consapevole. E' di solito una brava persona, onesta, che nel suo ruolo ha operato per il bene della società. I motivi della discesa in campo o salita in politica dei fogliafichisti appartengono talvolta alla sfera del mistero, in altri casi al desiderio di visibilità. I partiti per riciclarsi hanno un disperato bisogno di foglie di fico, cosa c'è di meglio di campioni della società civile per nascondere fallimenti ventennali, perché tutto cambi per rimanere come prima? Gratta la foglia di fico e trovi il vecchio partito, le sue logiche, i suoi affari, la sua nomenclatura. Il cambiamento deve partire dai cittadini, non c'è bisogno di leader, di aspiranti premier, ma di una partecipazione diretta alla politica con dei portavoce per applicare i programmi. E' una rivoluzione dolce, partecipata, senza leader, né persone del destino. Ingroia ha detto che la sua porta per il MoVimento 5 Stelle è aperta. Lo ringrazio, ma, per favore, la richiuda.



LA TERZA REPUBBLICA NASCE MALATA !!!!!

GIUDICI VS GIUDICI L'UN CONTRO                         L'ALTRO ARMATI
Ingroia si candida e attacca Grasso e il Pd:
"Partito senza coerenza, dimentica Berlinguer"

Il procuratore aggiunto annuncia la sua corsa da premier alla guida della lista "Rivoluzione civile". Aperture a Grillo e rottura con Bersani: "Si sente il padreterno". Sul magistrato antimafia: "Lo ha scelto Silvio; fa riflettere che piaccia a Dell'Utri"



 "La cosa grave non è la commistione dei ruoli, ma il pericolo che l’esercizio delle funzioni giudiziarie – prima o dopo il mandato parlamentare – possa apparire distorto per l’influenza di rapporti politici"


Magistrati in politica, Vietti: "Inopportuno"

Il vicepresidente del Csm critica le toghe che decidono di scendere in campo e auspica una discussione sul tema nella prossima legislatura

È lecito che un magistrato entri in politica? La risposta a questa domanda ha un'applicazione pratica nella realtà attuale.

Riformulato, il quesito potrebbe suonare così: è lecito che Pietro Grasso e di fatto anche Antonio Ingroia abbiano annunciato la loro discesa in campo, l'uno accanto a Bersani, l'altro di arancio vestito?
Una risposta prova a darla Michele Vietti, vicepresidente del Csm.Intervistato sulle pagine della Stampa, il magistrato definisce "inopportuno" l'impegno politico delle toghe. E nel farlo cita Giorgio Napolitano, ricordando le sue parole, quando diceva che un magistrato "non deve solo essere ma anche apparire credibile".
La risposta che dà Vietti - ci tiene a sottolinearlo - non è "di carattere personale" e neppure riferita "al singolo magistrato". È piuttosto un commento preliminare a una possibile discussione. "Nella prossima legislatura - dice - si affronti finalmente in modo organico la questione". Due i punti: una disciplina delle incompatibilità e mettere nero su bianco che "il magistrato che sale in politica al termine della sua esperienza debba trovare collocazione in altra funzione per la pubblica amministrazione".
È difficile, conclude Vietti ""fugare nell’opinione pubblica il sospetto che tra l’iniziativa giudiziaria e la ricerca di notorietà non ci sia un nesso di causalità". 
Sullo stesso tema si è espresso anche Luciano Violante, in un'intervista al Corriere della Sera. L'ex presidente della Camera, che nella scelta di politica di Grasso non vede nulla di male, per la scelta di dimettersi, critica invece Antonio Ingroia. "Se si candidasse commetterebbe un errore perchè ha in corso un’inchiesta delicata". È un "grande professionista", ma "ha avuto qualche cedimento al protagonismo".


domenica 23 dicembre 2012

Crozza nel Paese delle Meraviglie - NAPOLITANO E IL NUOVO PREMIER

LA PAZZIA DI UN CAVALIERE !!!!



La "follia" di Silvio, sale della democrazia

Berlusconi si conferma rivoluzionario. Con la sua mentalità liberale può tornare a scuotere la politica italiana: la più pazza del mondo
 Dom, 23/12/2012

In democrazia si lavora con quello che offre la realtà, e alla fine le costruzioni di ingnegneria istituzionale, anche se generate da buone intenzioni, mostrano la corda: a un certo punto, che siano le parodistiche primarie o le cantatine televisive da Giletti e da Vespa, il popolo deve decidere e la conquista del consenso è ineludibile. Però bisognerà ammettere, se dovesse finire con la ritirata preventiva della coalizione sanamente anticoncertativa e «padronale» benedetta da Marchionne, che un anno di governo del presidente, con i tecnocrati alla guida controversa di un governo che ha sostituito quello eletto guidato dal Cav, ha prodotto il nulla politico; e si torna esattamente al punto di partenza. Il presidente della Repubblica, se è vero che ha lavorato per la rinuncia di Monti a smantellare con la sua campagna diretta il vecchio bipolarismo, ha commesso un errore dal suo stesso punto di vista: voleva che nascesse una spirale virtuosa da una scelta per lo meno equivoca come quella di sospendere il voto e le garanzie di legittimazione democratica di chi governa, ricorrendo a una compagine tecnocratica e stimolando nuove scelte dei partiti, e invece gli rimane in mano, sul piano dell'evoluzione del sistema politico, la ripartenza dal novembre 2011, e niente più. Elezioni sotto la neve, con una coalizione di governo indebolita e un fronte delle opposizioni imbaldanzito ma largamente immaturo. Tutto come un anno fa. 
Certo, diminuisce rispetto allo standard virtuoso dei bund tedeschi la differenza di rendimento dei titoli di Stato, e dunque il loro costo per il debito pubblico italiano sempre crescente e per l'economia di società e famiglie; certo, si è dimostrato che è possibile realizzare riforme che hanno un'influenza strategica sulla curva della spesa pubblica, a partire dalle pensioni, ed è stato violato, con contraddizioni e incertezze, il tabù della concertazione preventiva, con diritto di veto dei sindacati di classe, in materia di misure socialmente importanti, in particolare sul lavoro: ma la questione di come far crescere la ricchezza del Paese, e risolvere per questa che è l'unica via il problema del suo indebitamento, è sempre lì a fare da ostacolo e da richiamo brutale a una condizione di potenziale sottosviluppo della settima od ottava potenza industriale del mondo, terza in Europa, che poi sarebbe il nostro Paese. Questa che è la vera guerra per noi e in parte anche contro di noi, contro le nostre antiche abitudini pigre, l'hanno persa tutti, uno dopo l'altro, e Berlusconi e Prodi e Monti.
La sostanza è nota: dovesse vincere Berlusconi, il che è considerato un pronostico azzardato visto il bailamme che ha preceduto la sesta discesa in campo e i suoi contenuti che a me sembrano di forte richiamo ma minoritari, ricomincerebbe la tiritera della delegittimazione personale e simbolica, con tutto il suo seguito di mascalzonate per via giudiziaria, e il premier non avrebbe il potere, né quello istituzionale né quello politico di capo della coalizione, per interrompere la spirale suicida della democrazia italiana; dovesse invece vincere Bersani, com'è probabile allo stato, chi mai al mondo ci garantisce che non ricascheremmo nel gioco delle vanità ideologiche dell'era Prodi, nella rincorsa delle invidie di classe, dei ricchi che devono piangere, dei ministri che litigano e vanno in piazza, del vendolismo che consuma e si mangia a poco a poco, con l'aiuto di quei matti della Camusso, di Ladini e di Ingroia, la promessa instabile e sedicente pragmatica dell'amministratore di Piacenza venuto da una pompa di benzina e autore delle lenzuolate liberalizzatrici? 
Comunque, Berlusconi se la gioca alla sua maniera. Secondo me è stato un colossale errore, questo avere abbattuto il muro di terzietà politica costituito da Monti (ne abbiamo ragionato tante volte). Nel giocarsela come crede, il Cav si conferma elemento di contraddizione e di scandalo, perciò si conferma quel matto che la storia ha prestato alla mentalità liberale per giocare e scherzare con la politica più pazzotica del mondo. Una parabola che ha del balzano ma è al tempo stesso intensamente, follemente e profondamente democratica. Auguri.

CHE SCHIFO ! CHE VERGOGNA ! CHE SCHIFO !



ALL'ARS ARRIVA LA PRIMA BUSTA PAGA

i grillini per ora incassano lo stipendio pieno

LE PRIME buste paga sono arrivate. Senza "tagli". E da ieri i deputati grillini, profeti della lotta alla casta, hanno in banca i loro stipendi da oltre diecimila euro al mese. Cifre anche superiori, per la verità: il capogruppo di "5 stelle ", il candidato governatore Giancarlo Cancelleri, nella sua distinta ha trovato l'importo netto di 11.700 euro. Ancora meglio è andata al neo vicepresidente vicario dell'Ars Antonio Venturino, che ha diritto a un'indennità di funzione di 3.200 euro lordi, circa 2.300 netti. Il suo stipendio mensile sfiora dunque i 14 mila euro. Ma la pattuglia dei parlamentari grillini "graduati", dopo l'elezione del consiglio di presidenza e dei vertici delle commissioni, è folta: conta un presidente di commissione (Giampiero Trizzino, indennità supplementare da circa 1.400 euro), un vicepresidente (Stefano Zito, 400 euro in più al mese) e tre segretari (Giorgio Ciaccio, Salvatore Siragusa e Vanessa Ferreri, un bonus in busta paga di quasi 200 euro a testa).Insomma, per il momento i grillini sono entrati nel club dei privilegiati, dopo aver annunciato in campagna elettorale che avrebbero rinunciato alla parte di compenso superiore ai 2.500 euro mensili. 

Il maxi-stipendio del segretario di Alfano

La busta paga di Baldo Di Giovanni, che da anni lavora a Roma, è di 157 mila euro l'anno

Ed ecco che dopo i casi dell'assistente che guadagnava quasi più di un deputato, con una retribuzione pari a ben 190 mila euro lordi all'anno, salta fuori un altro stipendio da mega dirigente: quello di Baldo Di Giovanni, assistente personale del segretario nazionale degli azzurri Angelino Alfano. Stabilizzato nel 2001 nel bacino dei gruppi
dell'Ars, ha ricevuto un'ultima busta paga pari a 157.575 euro lordi all'anno: cifra di poco inferiore a quella di un dirigente generale della Regione. Soldi, questi, in parte ricevuti negli ultimi sei mesi dal gruppo dei berlusconiani anche se lo stesso Di Giovanni si trova da agosto in distacco a Roma per curare i "rapporti tra il gruppo parlamentare regionale e il partito nazionale".

Tre giorni da deputato per 35 mila euro

Parteciperà a tre sedute, ma sarà pagato fino a marzo

Uno, due, tre. Tre giorni in tutto. Al redivivo onorevole Francesco Paolo Lucchese non è concesso un arco di tempo di lavoro più lungo. Ma per questa "fatica" avrà un'adeguata ricompensa: 35 mila euro netti, più o meno. Un'avventura redditizia, nulla da dire, per chi a 78 anni  -  e già con quattro legislature alle spalle  -  credeva di non dovere più frequentare l'aula da Montecitorio. E invece. Invece ecco un rapido incrocio di accadimenti. Il primo: le dimissioni da deputato di Nino Lo Presti, esponente di Fli nominato nel Consiglio di giustizia amministrativa. Un atto che ha fatto scorrere la lista del Pdl, dove Lo Presti era stato eletto nel 2008, fino al diciottesimo posto: nel frattempo infatti altri tre parlamentari hanno lasciato l'incarico e un quarto  -  Gaspare Giudice  -  è deceduto. Toccava proprio a Lucchese subentrare.

          Rivolta bipartisan contro Ardizzone

Il presidente di Sala d'Ercole annuncia il dimezzamento delle indennità ai parlamentari e scoppia la rivolta dei capigruppo.Lo stipendio passerebbe a 6600 euro netti (dagli attuali 12 mila) e i rimborsi ai gruppi da 3100 euro mensili a 5 mila euro annui per ogni deputato.


Il presidente di Sala d'Ercole Giovanni Ardizzone detta la road map parlamentare per applicare anche nell'Isola i tetti agli stipendi dei deputati e ai rimborsi per i gruppi parlamentari. E all'Ars è già rivolta: "Non si possono ridurre così le spese dei gruppi, questo significa impedire ai partiti di fare politica", dice il capogruppo Pdl, Francesco Scoma. 
"Il rischio è quello di licenziare tutti i dipendenti", avverte Santi Formica della Lista Musumeci. 
"In questo modo diamo la possibilità di fare politica soltanto ai ricchi", dice Roberto Di Mauro dell'Mpa.
Preoccupato è anche il capogruppo del Pd, Baldo Gucciardi. "Dobbiamo mettere in condizione i parlamentari di lavorare e l'Ars deve aiutare i deputati nell'elaborazione dei disegni di legge, altro che riduzione del contributo".
Ardizzone comunque non vuole fare passi indietro: "Confermo  -  dice  -  che non mi sposterò di una virgola dal decreto Monti.

Una retorica da canzonette !!!!!


Antonio Ingroia : "Mi candido? Ci sarò se voi ci siete, nel nome di Falcone e Borsellino".

Quelli come Antonio Ingroia non si accontentano di fare bene il loro lavoro, vogliono anche redimere il mondo. Per loro la spada della Giustizia è sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene. Dicono di impegnarsi ad applicare solo la legge senza guardare in faccia nessuno, ma intanto parlano molto delle loro indagini anche fuori dalle aule giudiziarie, contenti di esibire la loro faccia. L'esposizione mediatica, gli interventi ai congressi di partito sono un diritto, ma per dimostrare la propria imparzialità non bastano frasi a effetto, intrise di retorica alla Toto Cutugno: «Partigiani della Costituzione», «Il libro dei sogni», «Un tesoro smarrito sul fondo dell'anima» (non della schiena, dritta per intenderci).
Dopo un periodo di pausa attiva (da due mesi stava svolgendo un lavoro investigativo patrocinato dall'Onu in Guatemala contro i narcos), dopo il via libera del Csm, Ingroia ha offerto la sua disponibilità a candidarsi (io ci sto!) chiedendo ai vari Di Pietro, Ferrero, Diliberto di «fare un passo indietro». Tra i fan del nuovo líder máximo spiccano i nomi di Moni Ovadia, Sabina Guzzanti, Fausto Bertinotti, Gino Strada, Vauro. L'ex procuratore aggiunto vorrebbe anche Maurizio Landini e Michele Santoro.
In Guatemala ci è finito mentre si chiudeva «la madre di tutte le indagini» della Procura di Palermo, quella sulla presunta trattativa Stato-mafia, con le famose intercettazioni riguardanti anche il Colle (che non pochi problemi hanno creato nei rapporti istituzionali) e il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D'Ambrosio, un tempo stretto collaboratore di Giovanni Falcone, stroncato poi da un infarto.
A Palermo ha abbandonato l'inchiesta nella sua fase più delicata e il comizio di venerdì non ha certo giovato alla sua reputazione (già incrinata dalla gestione di Massimo Ciancimino) e alla credibilità della magistratura italiana, alimentando il sospetto che l'attività giudiziaria, specie se clamorosa, venga intesa da alcuni come opportunità per una carriera politica.
Le debolezze del magistrato non lo rendono più umano, ma soltanto più simile a un cittadino al di sotto di ogni sospetto.

giovedì 20 dicembre 2012

REGIONE SICILIANA :CAMBIARE TUTTO....PER NON CAMBIARE NIENTE !!!

Un bell'articolo di Simone Toscano su Sicilia Live che riassume il quadro delle prime due settimane del Governo Crocetta e delle manovre per la spartizione delle varie poltrone a cui hanno partecipato tutti ma proprio tutti compresi quelli del M5S che durante la campagna elettorale prometteva di non fare accordi con nessuno. Vale la pena riportarlo integralmente :


Giovedì 20 Dicembre 2012


Crocetta ha voluto e ottenuto che saltasse l'intesa tra la sua coalizione e il centrodestra. I grillini hanno fatto il pieno, diventando l'interlocutore privilegiato della maggioranza all'Ars. Il Pd si è complicato la vita come sempre e adesso dovrà incollare i cocci delle liti di questi giorni. Delusi Pdl e Cantiere Popolare, fuori dai giochi i "sicilianisti".
PALERMO- Alla fine Rosario Crocetta è stato accontentato. L'accordo tra Pd-Udc e centrodestra bocciato dal governatore è andato in fumo nell'elezione dei presidenti di commissione. Il Movimento 5 Stelle, con cui il presidente cerca un rapporto privilegiato, è entrato nella partita, ottenendo quanto richiesto a Giuseppe Lupo, ossia la commissione Ambiente. È naufragato, invece, l'accordo col centrodestra che aveva permesso l'elezione di Giovanni Ardizzone e che avrebbe dovuto consegnare a Pdl e Cantiere popolare due commissioni. D'Asero del Pdl non ha avuto la presidenza della prima, proprio come aveva chiesto Crocetta che in mattinata ieri si era pronunciato espressamente contro questo accordo. Il deputato alfaniano si deve accontentare della vicepresidenza. A bocca asciutta anche il Cantiere Popolare, che nel pomeriggio con Pippo Gianni, presidente mancato, ha stigmatizzato il patto tra crocettiani e grillini, questi ultimi entrati, a suo dire, a pieno titolo in maggioranza. L'ha spuntata invece Francesco Cascio, che ha cercato e trovato la presidenza della commissione Ue, eletto all’unanimità in forza del suo prestigio da ex presidente dell’Assemblea, ma fuori da qualsiasi accordo tra partiti. Fuori dai giochi, almeno per il momento, sono i rimasti anche i sicilianisti di Grande Sud e Pds.

Finalmente definita la nuova mappa del potere dell’Ars, si può valutare chi ha vinto e chi ha perso nella complessa partita che si è giocata in queste settimane a Palazzo dei Normanni. Rosario Crocetta, con il passaggio di oggi, si può di certo inserire tra i vincitori. Ai suoi non è riuscito lo sgambetto a Giovanni Ardizzone, mentre è andato in porto l’impallinamento di Mariella Maggio alla vicepresidenza. Il presidente ha detto a chiare lettere che la musica del patto istituzionale con il solo centrodestra non gli aggradava, e alla fine è stato accontentato. L’intesa è andata a rotoli. Ne ha beneficiato il Movimento 5 Stelle, altro vincitore della partita. I grillini, dopo aver portato a casa l’insperata vicepresidenza vicaria con Venturino, si sono accaparrati la commissione che chiedevano. E soprattutto si sono conquistati, almeno provvisoriamente, il ruolo di interlocutori privilegiati della coalizione di governo. È fin troppo evidente che tutti i proclami crocettiani di questa prima fase siano in pena sintonia con le battaglie contro i costi della politica tanto care al movimento di Grillo.

Non è andata bene al centrodestra, che è riuscito a portare a casa solo la vicepresidenza dell’Assemblea con Salvo Pogliese. Ieri sera anche Marco Falcone, come Gianni, ha dato un ironico benvenuto tra i partiti di governo ai grillini, commentando così il naufragio del patto “istituzionale” siglato nei giorni scorsi con Pd e Udc. I mal di pancia non mancano ed emergeranno nei prossimi giorni, quando però il dibattito politico verrà probabilmente monopolizzato dalla campagna elettorale per le elezioni nazionali.

Sorride l’Udc, che alla fine ha fatto il pieno senza soffrire troppo. Il partito di D’Alia, guidato a Palazzo dei Normanni dalle mani esperte di Lino Leanza, ha portato a casa la presidenza e i vertici di due commissioni, tra cui la più pesante e ambita, il Bilancio, andata al veterano Nino Dina, complici le divisioni del Pd. Il gruppo Territorio, rimasto fuori dalla giunta, ha avuto una preidenza, come chiedeva. Mentre nella lista Crocetta qualcosa è andato storto e nei prossimi giorni c’è da aspettarsi forse un po’ di maretta interna al gruppo.
Per il Partito democratico il discorso è certamente più complesso. Il Pd ha dato ancora una volta dimostrazione della sua inguaribile tendenza a complicarsi la vita da solo e a dividersi in estenuanti lotte tra fazioni. È stato necessario un viaggetto a Roma a Lupo, Gucciardi e Cracolici per comporre il pasticcio. Alla fine, tutti hanno dovuto fare un mezzo passo indietro. Cracolici non ottiene una presidenza, ma dopo il tiro dei cecchini sulla Maggio era improbabile che i suoi compagni di partito gliela perdonassero, in compenso porta a casa per un uomo della sua corrente, Digiacomo, la presidenza della prestigiosa commissione Sanità. Lupo e Gucciardi hanno dovuto ingoiare il rospo dirottando l’ex capogruppo alla commissione Bilancio ma hanno a modo loro tenuto il punto. L’ala del partito guidata da Capodicasa e Crisafulli ottiene per Bruno Marziano la presidenza della commissione Attività produttive, parziale indennizzo per la sberla subita dalla corrente con la bocciatura di Mariella Maggio. La corrente degli ex margheritini, dal canto suo, aveva già incassato due posti nell’ufficio di presidenza con Rinaldi e Barbagallo e la poltrona, scomodissima per la verità vista l’aria che tira, di capogruppo per il paziente Baldo Gucciardi. Ma al di là delle singole poltrone, il Pd ha dovuto in qualche modo soccombere sulla linea generale, vedendo sconfessata da Crocetta l’intesa raggiunta col centrodestra. L’impressione è quella di un rapporto tra governo e Parlamento che appare sbilanciato in favore del primo, con un governatore pochissimo propenso a lasciar fare ai partiti e intenzionato a dire la sua anche dentro il Parlamento, malgrado nelle settimane scorse Crocetta avesse detto l’esatto contrario.
Adesso, però, completato il risiko delle poltrone, per Palazzo dei Normanni e per la giunta è il momento di mettersi al lavoro. Ci sono tre leggi da approvare prima di stappare lo spumante, un dpef e un bilancio da incardinare, tanto lavoro da fare in tempi da record sui costi della politica. Con quali numeri? Lo si scoprirà presto. Quando nei prossimi giorni il “rivoluzionario” asse tra Crocetta e i grillini sarà messo alla prova dell’Aula.

Benigni e la sua Costituzione-


           Quante bugie e ideologia 

       Il comico fa il pieno di ascolti ma infarcisce il monologo di strafalcioni.


Lo show di Roberto Benigni  è stato un successo enorme: dodici milioni e mezzo di persone hanno assistito a due ore di lezione sulla Costituzione italiana, corredate da qualche momento di satira, per lo più su Silvio Berlusconi. 
E se la satira, per definizione, è di parte e non va toccata, qualcosa invece si può dire sulla divulgazione. Se  Benigni si è messo in mente di educare le masse, beh, forse è diritto degli individui muovergli qualche piccola contestazione. Lunedì, infatti, il comico ha infarcito il suo pistolotto di omissioni, con qualche falso ideologico a corredo.  Sorvoliamo sulle piccolezze che, in un monologo recitato quasi completamente a memoria (in questo Benigni è un campione), possono sfuggire. Tipo che la democrazia è stata inventata nel Medio Evo. O che il nazionalismo è il padre di tutti i mali (salvo poi ripetere ogni tre per due «sono orgoglioso di essere italiano»).
Prendiamo, per cominciare, le frasi sul voto. «Votare è l’unico strumento che abbiamo», ha detto il nostro. «La cosa più terribile è non votare», ha ripetuto, spiegando che non bisogna lavarsene le mani come Ponzio Pilato: «Altrimenti decide la folla. E la folla sceglie sempre Barabba». A dirla tutta, sarebbe una forma di voto pure quella se espressa liberamente e democraticamente come ci insegna la Costituzione-. 
Ricordare, a questo proposito, che l’esecutivo che ci ha governato finora non è stato eletto proprio da nessuno, sostituendo quello precedentemente scelto dal popolo, per altro con una larga maggioranza sarebbe stato carino  , ma comprendiamo l’imbarazzo: quando si inizia un programma ringraziando il presidente della Repubblica che ha nominato Monti senatore a vita e poi capo del governo è un po’ difficile, poi, punzecchiarlo...
Benigni, nella parte iniziale del discorso, ha parlato di «guerra civile». Un fatto positivo, visto che molti,  contestano pure l’utilizzo del termine. Ha speso anche qualche parola di compassione per i vinti e il loro sangue. spiegando,comunque, che «anche il più disonesto e il più balordo dei partigiani ha combattuto per la libertà». Come no, proprio vero. Peccato che una bella fetta di questi ultimi combattesse per instaurare una dittatura comunista in stile sovietico, a costo di accoppare brutalmente degli innocenti. Ma per Benigni anche gli assassini del «Triangolo della morte» sono meglio dei loro oppositori: siamo tutti uguali di fronte alla morte, ha detto, ma «non siamo tutti uguali di fronte alla storia».La Carta secondo il comico, è meglio dei Dieci comandamenti, poiché questi sono tutti negativi, mentre la Costituzione è la «legge del desiderio, è la nostra mamma». Ci dice come dobbiamo vivere, come dobbiamo comportarci. Ci risulta, tuttavia, che prerogativa degli Stati totalitari sia proprio questo genere d’intervento nell’esistenza delle persone. Ma anche questa è una piccolezza, non si può sempre sottilizzare.

  1. Il bello arriva quando Roberto si mette a discettare dei Padri della Patria: «Divennero dei giganti; furono profetici». Cita Calamandrei, Nenni, Croce, De Gasperi, La Pira, Giorgio La Malfa...Giorgio La Malfa? Al massimo Ugo La Malfa, che di Giorgio era il padre. Vabbé, è stato un infortunio. Ma almeno, parlando di Palmiro Togliatti - sempre nominato con affetto - si poteva dire qualcosa dei suoi legami con l’Urss e con il mostruoso sistema di cui sosteneva gli interessi nel nostro Paese. Invece niente.
  2. Benigni tesse le lodi della forma di governo repubblicana. Ottimo. Afferma: «All’epoca di repubbliche non ce n’erano tante.  Sotto la dittatura o la monarchia il popolo è suddito o servo. Non ci sono uomini liberi». Ah, davvero? Veramente ci risulta che gli inglesi votino e che i loro governi siano anche più stabili dei nostri. Nonché meno inclini a farsi mettere i piedi in testa da qualche istituzione sovranazionale. Forse i cittadini del Regno Unito non sono liberi? Forse  i loro leader non sono democraticamente eletti? Non ci risulta. 
  3. Sostiene più volte che la nostra Costituzione è la migliore del mondo Per esempio quando celebra l’articolo 21. «Ogni persona ha il diritto di esprimere il proprio pensiero liberamente». E aggiunge che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite -  che sancisce il medesimo diritto -  è stata scritta un anno dopo la nostra Carta. Verissimo. Però il Primo emendamento della Costituzione statunitense risale al 1789. Oltreoceano la libertà di pensiero e parola è sacra: dispiace, ma i nostri Padri della Patria sono arrivati dopo. Ed a proposito di art.21 si poteva ricordare che l’Italia è un caso più unico che raro in Occidente, visto che in questi giorni un giornalista - Alessandro Sallusti - è agli arresti per via di un articolo che nemmeno ha scritto. Certo, qui i Costituenti non hanno dirette responsabilità. Ma potremmo anche far notare che Giovannino Guareschi fu spedito in carcere proprio per aver scritto di Einaudi e De Gasperi. Piccoli particolari che, nella celebrazione untuosa, si sono persi.
  4. Lasciamo stare la storia dell’Italia che «ripudia la guerra» e poi spedisce soldati in giro per mezzo mondo. (Ci sorge un dubbio: forse l’articolo 11 non viene rispettato perché costruito su un’ipocrisia di fondo?). Occupiamoci piuttosto di quel che Benigni dice, in conclusione di monologo, sull’Unione Europea. «Stiamo unendo un continente in pace», spiega. «Sessant’anni di pace», ripete. Come no. Lo vada a spiegare ai libici bombardati. Ma il comico è un europeista convinto. «Per primi noi europei abbiamo imposto una moneta nuova, l’Euro, senza guerra». Infatti questa crisi ha mostrato un continente in pace perpetua, soprattutto in Grecia. Ha fatto vedere come gli europei vivano in serena prosperità. Magari sotto il governo di Berlino e che la guerra è stata sostituita dallo spread. 

  5. Ma a Benigni queste minuzie non importano. Lui deve celebrare la Costituzione, in onore e gloria dell’Italia dei tecnici (che tanto hanno desiderato mandarlo in onda). Dunque, viva il popolo sovrano. Basta che si sintonizzi sul primo canale, taccia e batta le manine, mentre lui intasca un mega compenso.




mercoledì 19 dicembre 2012

QUANDO LA SINISTRA VA AL POTERE!!!!!!!!


Una manciata di giorni per varare la proroga dei precari, incardinare il bilancio, approvare l'esercizio provvisorio e i tagli ai costi della politica. Ma intanto, Sala d'Ercole segna il passo per lo scontro totale dentro il Pd.


Caos dentro il gruppo del Pd 
Fumata nera per le commissioni


Gucciardi respinge le accuse:
"Nessun vulnus democratico"

Big siciliani a Roma 

            per cercare una tregua



"Meglio magistrato che politico"


       E il Fatto stoppa Antonio

Il direttore Padellaro invita il magistrato a non commettere un errore, facendo sentire più soli i suoi colleghi che indagano sulla Trattativa. E Ingroia sullo stesso giornale invita ad aspettare venerdì: "Non colorerò la mia toga di arancione"

“Speriamo che dopo averci pensato bene Ingroia decida di non candidarsi, evitando di commettere quello che consideriamo un duplice errore”. Lo scrive, forse un po' a sorpresa, il direttore del Fatto quotidiano, Antonio Padellaro, nell'editoriale di oggi. Il giornale, cantore delle gesta dei magistrati palermitani, prende una posizione molto netta. Padellaro spiega di temere che i magistrati che hanno indagato con Ingroia sulla trattativa “si sentiranno più soli”. E tutto questo, aggiunge Padellaro, per correre in un movimento che, con realismo il direttore del Fatto mette in conto possa non superare lo sbarramento previsto dalla legge elettorale. E nella chiosa del direttore, ecco un riferimento alla “amarezza” di Ingroia, “attaccato e vilipeso”, per spiegare, forse con filo di malizia, la discesa in campo del magistrato. “Se anche cercasse una legittima rivincita, non disperda” la sua “grande popolarità”, suggerisce Padellaro, sottintendendo propositi revanscisti dietro la corsa di Ingroia. “Dia retta: il magistrato Ingroia conta assai di più del politico Ingroia”, conclude Padellaro.
Ingroia, proprio dalle colonne del Fatto, lascia ancora aleggiare un po' di mistero sul suo futuro e invita tutti ad aspettare venerdì, quando prenderà parte alla convention del Movimento Arancione. “Non intendo colorare la mia toga di rosso o di arancione”, scrive Ingroia, aggiungendo subito dopo: “Sono convinto però che in questo momento difficile e cruciale il nostro Paese ha bisogno di atti di coraggio e di responsabilità da parte dei non professionisti della politica”. Tutto rinviato, insomma, a venerdì 21, il giorno dei Maya.
Preoccupa molto che il direttore di un giornale possa, pubblicamente, consigliare le scelte ad un magistrato in questi termini, perchè Padellaro in conclusione dice: Ingroia renditi conto che probabilmente non vi vota nessuno, perchè siete simpatici a pochi, tanto pochi che non entrereste nemmeno in Parlamento ed allora vale la pena lasciare un posto di "potere"come quello che occupi rischiando pure di lasciare campo libero ai tuoi colleghi che indagano sulla Trattativa ?
In un altro Paese basterebbe solo questo per trasferire il magistrato per "incompatibilità ambientale"? Non lo so ma certo questa vicenda lascia molto, ma molto perplessi!

CONFESSIONI DI UNA PORNOSTAR



Lea Di Leo, porno libro a processo: "Ho gli sms di tutti i miei clienti". Calcio e politica tremano-

A Marsala inchiesta sui presunti ricatti degli editori ai vip finiti nell'autobiografia dell'attrice. Lei attacca: "Chi avrà il coraggio di negare?"

Lea Di Leo, la pornostar che fa tremare i vip
Uno scandalo sessuale che farà tremare politica, calcio e spettacolo. Ne è sicura la pornostar Sonia Faccio, in arte Lea Di Leo, autrice di un libro-confessione finito in un'inchiesta della Procura di Marsala per presunti ricatti della casa editrice ai circa 30 vip coinvolti. Intervistata da Repubblica , la Di Leo non fa nomi ma di allusioni ne semina tante. Molte celebrità finite nel mirino della pornostar (e raggiunte, secondo l'accusa, da mail ricattatorie della casa editrice) dicono di non sapere nulla di lei e respingono le insinuazioni: "Peggio per loro. Io capisco che magari alcuni hanno mogli, fidanzate, però non voglio passare per quello che non sono. Io dico la verità. Chi nega? Ambrosini? Il senatore Baldassarri? Io conservo gli sms di tutti con i giorni e i luoghi degli appuntamenti. E tornerò a Marsala per ascoltare le loro testimonianze davanti al giudice. Voglio vedere chi dirà di non avermi frequentato. L'unico che ha detto il vero è Gianluca Grignani: era uno del suo staff a venire con me. I giudici mi hanno creduto, tanto è vero che io in questo processo sono solo una testimone, non sono accusata di niente. E ripeto, mi dispiace per la privacy di tutti loro, ma non è stata colpa mia. La verità è che questo libro fa paura a tanti, e non solo ai miei clienti".  
- Tra i vip "clienti" ci sarebbero, secondo la Di Leo, oltre al capitano del Milan Massimo Ambrosini e ad altri calciatori ed ex calciatori come l'ex di Elisabetta Canalis ReginaldoMarco Borriello, Luca ToniValeri Bojinov, Pippo InzaghiVincenzo Iaquinta, Fabio Galante e Francesco Coco, anche attori comeRoberto Farnesi Matteo Branciamore (il protagonista de I Cesaroni), il giornalista Amedeo Goria e cantanti, appunto, come Grignani e il rapper Fabri Fibra. Ma soprattutto politici. In testa, l'ex viceministro dell'Economia Mario Baldassarri che però ha sempre negato con forza di aver mai frequentato la Di Leo. Molti di loro probabilmente sfileranno in qualità di testimoni al processo di Marsala e Sonia/Lea ribadirà le accuse fatte su carta: "Ho passato cinque anni d'inferno nel business dell'899, governato anche da politici. E quelli sono stati anni orribili, mi sono beccata anche l'epatite B in un rapporto non protetto con un famoso cantante. So che è stato lui perché in quel periodo andavo solo con quattro persone: un calciatore, un politico e due cantanti e uno di loro ci ha scritto su anche una canzone su le ragazze che ti fanno venire l'epatite B. Peccato che è andata al contrario. E io pensavo di morire e pensavo a quante persone potevo averla attaccata".                         

martedì 18 dicembre 2012

DIRITTI E DOVERI DI UN CITTADINO MAGISTRATO!


QUANDO  MOTIVI DI OPPORTUNITA' DOVREBBERO VALERE PIU' DELLE REGOLE SCRITTE !!





“No, grazie. Non trovo giusto che chi fa l’arbitro o il guardalinee si tolga la giacchetta per indossare la maglietta di una delle squadre in campo”. Tanti anni fa il pm di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, rispose più o meno così a un partito di centrodestra che gli chiedeva di candidarsi alle elezioni. 

Non, intendiamoci, perché pensi che debba esistere una legge per impedire ai magistrati di candidarsi. 
Ritengo però che coloro i quali svolgono pubblicamente – e con grande seguito – funzioni di controllo (pure i giornalisti, o almeno quelli con la schiena dritta) dovrebbero attenersi anche a delle norme non scritte. A regole imposte solo dalla propria coscienza, molto più dure rispetto a quelle riservate al resto dei cittadini. Tra queste c’è, a mio parere, il dovere di far passare un congruo e lungo lasso di tempo tra le inchieste, gli articoli o i programmi televisivi che hanno dato a una persona notorietà (e credibilità) e il proprio impegno elettorale.
Inutile girarci intorno. Non è difficile prevedere che cosa accadrà nel caso in cui Ingroia lasciasse davvero il suo incarico Onu per candidarsi. Moltissimi elettori, in perfetta buona fede, penseranno che le sue  indagini sui rapporti mafia e politica siano state condotte solo per farsi pubblicità e per preparare il terreno alla nuova avventura di partito.  E in milioni riterranno che le cose stiano così. E chi sostiene,  che nel nostro Paese quasi nessuno svolge le proprie funzioni in modo del tutto disinteressato, avrà altre frecce al proprio arco. Sono poi pressoché scontate le conseguenze, pessime, sulla credibilità della magistratura e su quella dei pm palermitani, in particolare, oggi impegnati nell’udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia. Così come è inevitabile una sfiducia ancora più crescente in tutte le istituzioni.
Per questo, se si vuole davvero rifondare il Paese, sarebbe bene soffermarsi prima sui propri doveri e solo dopo sui diritti. Cominciando da quelli che ciascuno di noi sente di avere, guardandosi ogni mattina allo specchio.

IL DESTINO DI UN........... PERDENTE !!!!


Elezioni 2013, per i sondaggi Monti resta il più gradito. 


Per i sondaggi, quando si parla di leadership, non c’è Bersani che tenga. Tutti gli indicatori dicono Mario Monti. Anche senza una percentuale stellare, secondo le rilevazioni Emg-La7 per il Tg di Enrico Mentana, il premier dimissionario (per il quale risale di sei punti rispetto la scorsa settimana la fiducia, ora al 51%) si conferma il più gradito agli italiani anche per il futuro. Monti è di nuovo al primo posto con il 19% dei consensi, superando Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi a pari merito al 17%. Silvio Berlusconi e Beppe Grillo sarebbero preferiti dall’8% degli italiani; Angelino Alfano, Nichi Vendola, Roberto Maroni e Luca Cordero di Montezemolo sarebbero scelti ciascuno dal 4%; Pier Ferdinando Casini dal 3% seguito da Gianfranco Fini al 2%. Infine Antonio Di Pietro, Oscar Giannino ed Emma Marcegaglia avrebbero ognuno l’1% dei voti. Il 3% non indica nessuno di questi nomi e il 4% non esprime alcuna preferenza. 
Per quanto riguarda i singoli partiti, il sondaggio non registra grosse variazioni rispetto alle ultime settimane. Il centrosinistra totalizzerebbe il 39,9% dei consensi. Nello specifico, il Pd avrebbe il 32,9% (+0,7% rispetto la scorsa settimana), Sel sarebbe al 5,1% (-0,6%), Psi avrebbe l’1,4% (stabile) e Api lo 0,5% (+0,1%). Il Pd resta quindi al primo posto seguito dal Movimento 5 Stelle che perde però lo 0,5% e si attesta al 16,6%. Quanto al centrodestra, costituito da Pdl, Lega e La Destra, le rilevazioni mostrano una percentuale di consenso del 24,3% con un Pdl al 16% (-0,3%), la Lega al 5,8% (-0,6%) e La Destra al 2,5% (+0,4%). L’area del centro sarebbe invece del 12,2% con l’Udc che recupera lo 0,5% e avrebbe il 4,4%, la Lista Montezemolo-Verso la Terza Repubblica otterrebbe il 3% (+0,4%), Fli al 2,5% (+0,1%), Fermare il declino allo 0,7%, Mpa allo 0,6%, al pari del Partito liberale e Grande Sud allo 0,4%. Infine, l’Idv sarebbe all’1,4% (-0,2%), la Federazione della sinistra all’1,9% (-0,3%), Ecologisti Verdi e Reti civiche avrebbero l’1,4% (-0,1%) e la Lista Bonino-Pannella arriverebbe allo 0,7%. L’astensione è, però, al 28,3%, gli indecisi all’11,1% e le schede bianche al 2,5%. 
Se gli italiani dovessero scegliere direttamente il premier tra Mario Monti e Pier Luigi Bersani, dalle rilevazione emerge che l’attuale premier vincerebbe con il 37% dei voti rispetto al 32,4% per il candidato di centrosinistra. Non voterebbe nessuno dei due il 19,7% degli italiani, mentre il 10,9% non indica.