giovedì 31 gennaio 2013

Sondaggio Tecnè, il Pdl rimonta ancora: il Pd avanti solo del 4,9% - sondaggi, sondaggi pdl, sondaggi pd, sondaggi monti, monti, casini, berlusconi, bersani, sondaggio tecne, tecne sky tg24, beppe grillo, movimento 5 stelle - Libero Quotidiano

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Mussari, al Pd 700mila € !!!!!



SINISTRA NEL PALLONE


Il segretario Pd Pier Luigi Bersani con l'ex presidente del Mps Giuseppe Mussari

Mussari, al Pd 700mila €
Noi lo diciamo Pier ci querela

Invece di attaccare chi ha mandato a picco il Monte dei Paschi di Siena, il segretario del Pd se la prende con il nostro quotidiano

Il Pd non ha proprio digerito l'affaire Monte dei Paschi. Il crollo dei sondaggi preoccupa e allora Bersani fa il duro solo con la stampa. A fare il cane da guardia Bersani ha mandato Antonio Misiani, tesoriere nazionale del Pd: "Il Partito Democratico ha infatti dato mandato ai suoi legali di promuovere tutte le azioni legali necessarie per tutelare la propria onorabilità nei confronti delle clamorose bugie riportate sul caso Mps da una serie di organi di informazione, con particolare riferimento alle testate Libero Il Giornale vicine al centrodestra e a Silvio Berlusconi".
Un Partito in bancarotta
Il ruolo di Mussari - "Un conto - dice Misiani - è la ricerca della verità dei fatti, che noi stessi sollecitiamo da parte della magistratura e di tutti gli organismi preposti, un altro la solita, inaccettabile macchina del fango che si mette immancabilmente in moto alla vigilia delle elezioni". Dunque c'è nervosismo in via del Nazzareno. Ma ancora una volta sbagliano bersaglio. Se la prendono con la libertà di informazione e dimenticano chi per davvero ha rovinato l'immagine del Pd. Un nome? Giuseppe Mussari. L'ex presidente del Monte dei Paschi, tra 27 febbraio 2002 e 6 febbraio 2012, ha versato al Partito democratico 683.500 euro, diventando tra i principali (se non il principale) finanziatori del Pd a Siena. Alla faccia dell'assunto per cui Mps, con il Pd, c'entra nulla. A Mussari Bersani che farà? Sbranerà anche lui?

Beppe Grillo contro Bersani


L'AFFONDO

Mps, Grillo: Bersani dimettiti. Al confronto Craxi rubava caramelle

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"Scandalo Mps. Caro Bersani dimettiti. Al confronto Craxi rubava caramelle"
Beppe Grillo

Qual è il tuo stato d'animo?
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Affondo di Beppe Grillo contro Pier Luigi Bersani. L'attacco arriva dopo lo scandalo Mps che coinvolge il centrosinistra. Il comico tuona: "Bersani si deve dimettere". Sul suo blog, il leader del Movimento 5 Stelle chiede l'istituzione di una commissione d'inchiesta e promette che le 5 stelle se ne faranno promotori subito dopo l'ingresso in Parlamento. "Mps fa impallidire non solo Parmalat - scrive Grillo - ma anche il fallimento del Banco Ambrosiano, dietro a questo colossale saccheggio, come avvenne allora, ci può essere di tutto. Craxi, in confronto, rubava le caramelle ai bambini".
"Furto agli italiani" - Il comico ligure non ha dubbi. Lo scandalo dei derivati del banco senese è un "colossale furto ai danni degli italiani, il cui conteggio finale non è forse ancora concluso". Il leader delle 5 stelle chiede anche la verifica dei patrimoni dei segretari del Partito Democratico e di tutti i nominati nella fondazione Mps dal Comune di Siena, dalla Provincia di Siena e dalla Regione Toscana dal 1995. Sul blog, Grillo, inoltre chiede la pubblicazione dei nomi di tutti coloro che hanno goduto dello scudo fiscale con il relativo ammontare dei capitali rientrati in Italia.
La replica di Bersani - Dopo l'attacco, la replica di Bersani, che rispedisce al mittente la richiesta di dimissioni: "Chi dice cose fuori dal sengno ne risponde - ha commentato il leader democrat -. Aggiungo che vorrei capire da che pulpito democratico Grillo parla di dimissioni, io ce l'avrei un partito che potrebbe chiedermele. A Grillo chi può chiederle? Ecco, allora lezioni non ne dia per favore che da quel lato non ne prendo, da autocrati da strapazzo no




L'AFFONDO

Mps, Beppe Grillo contro Bersani e il Pd: "Sono tutti da processare"


Perr lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena "nel Partito democratico andrebbero processati tutti". Chissà se, dopo queste parole, Pierluigi Bersani sbranerà a suon di querele anche Beppe Grillo. Il leader del Movimento 5 Stelle, da Catania per il suo Tsunami tour, ha sparato a zero contro il segretario del Pd e tutti i vertici del partito, colpevoli di aver "disintegrato una prestigiosa banca italiana che era ricchissima. Ogni giorno vengono fuori buchi e tangenti". Slogan e accuse dette sì in campagna elettorale, con i toni propri di quest'ultima, ma condivise da tanti anche non strettamente grillini. "Hanno cercato di acquistare l'Antonveneta - ha continuato Grillo a proposito del Pd - per contrastare la Lega Nord nel Veneto, speculando sulla compravendita". 

"Bersani, dimettiti. Sei peggio di Craxi" - Quello di mercoledì sera è solo l'ultimo affondo nei confronti di Gargamella (così l'ha chiamato Grillo) Bersani: l'ex comico aveva iniziato condannando l'incapacità dei dirigenti della "banca rossa" ("La sinistra ci deve 14 miliardi", aveva poi proseguito incalzante) e alzato il tiro chiedendo a Bersani di dimettersi: "In confronto a te, Bettino Craxi rubava caramelle". Parole grosse da digerire per chi, a sinistra, ha sempre fatto della questione morale e delle mani pulite una bandiera (spesso a torto, per la verità). 

Mps, Grillo a Catania: "Bersani & Co. andrebbero arrestati tutti"

lunedì 28 gennaio 2013

Non me la sono sentita.!!!!!!


   o sei in malafede?
"Il coraggio ce l'ho. E' la paura che mi frega!" (Principe Antonio De Curtis, detto Totò)

La mia vita è stata sempre piena di fatti strani, di accadimenti personali, e anche di storie strambe e divertenti. Ammetto però che qualche volta sono fuggito di fronte ad un dovere, o ad un pericolo, o ad un rischio.
Per esempio, una volta sono entrato in un negozio che vendeva auto sportive, c'era una Ferrari che mi piaceva un sacco, soldi non ne avevo, ma soprattutto... Non me la sono sentita.

Una volta sono andato a casa di una donna bellissima, single, volevo corteggiarla. Era gentile, gli piacevo, mi ha fatto entrare in casa sua e... ho sentito grida di bambini che giocavano. Io non lo sapevo, ma lei era divorziata, e quei quattro piccoli diavoli ammassati in una casa piccola erano i suoi figli. A dir la verità ci siamo appartati per circa dieci minuti, ma man mano che si spogliava diventava diversa. Aveva addosso di tutto, extensions, unghie finte, calze super autoreggenti per nascondere la cellulite dilagante, chili di trucco sul viso, ciglia finte, un reggiseno superimbottito, le lenti a contatto azzurre... E allora, quando era ormai quasi nuda, l'ho guardata bene, ed era talmente diversa rispetto a dieci minuti prima, che mi sembrava un'altra persona. Mi ricordava addirittura il titolare di una bancarella dove compro i dvd usati (che è un uomo). Dieci minuti prima volevo portarmela a letto ma dopo... Non me la sono sentita.

Una volta ero in discoteca, a Londra, con delle ragazze. Un pirla, un Tizio che lavorava nella City,  suppongo (non era in abiti adatti ad una serata in discoteca), mi è passato vicino con una sigaretta accesa e mi ha scottato una mano. Poi ha riso, l'aveva fatto apposta. Avevo deciso di menarlo, non per ripicca, ma solo per insegnargli le buone maniere, sia chiaro. Lui si è seduto ad un tavolo con i suoi amici. Erano cinque o sei, tutti energumeni. In quel momento ho pensato che volendo avrei potuto spaccare le ossa a tutti, ma poi... Non me la sono sentita.

E così tante altre volte, ma non sono un codardo. Secondo me è normale ogni tanto vivere dei momenti in cui non te la senti di fare qualcosa.
Stamani per esempio, ripensando al weekend appena trascorso, mi era venuta la voglia di lanciarmi da un paracadute sulla città di Roma, precisamente sopra a via Allegri. Dopo essermi adeguatamente preparato bevendo alcune birre prima del lancio, durante il volo, appena aperto il paracadute, avevo in mente che avrei potuto tirare fuori il pistolino e avrei potuto "innaffiare" la via. Poi però...
Non me la sono sentita. Di buttarmi col paracadute. 



PARERE AUTOREVOLE !!!!!!

LA POLEMICA DOPO LA GARA JUVE-GENOA E DOPO LE SQUALIFICHE A CONTE, BONUCCI E CHIELLINI, MONTA NOTEVOLMENTE ALIMENTATA DA STAMPA E GIORNALISTI FAZIOSI ! NOI CI AFFIDIAMO AD UN PARERE AUTOREVOLE E LASCIAMO GIUDICARE A CHI DI CALCIO SE NE INTENDE!


Riprendiamo quanto scritto da Paolo Casarin sul Corriere della Sera del 28-01-2013, ci sembra il parere più autorevole e dirimente.


Il caso del tocco di mano di Grangqvist, alla fine di Juventus-Genoa, non è solo un episodio che, oggi, si presta a opinioni opposte, è un fatto di gioco che domani meriterebbe un'informazione unica e condivisa da parte dei responsabili arbitrali. Non si può archiviare questo «caso» nella nebbiosa area della discrezionalità, soprattutto oggi che a vigilare sulle aree di rigore sono schierati, in serie A, due arbitri del massimo livello. 

Sono giunto alla convinzione di giudicare punibile il fallo di Grangvist per una serie di considerazioni oggettive relative all'azione. Il cross basso che il difensore genoano si appresta a controllare proviene dal bordo campo, da oltre 25 metri, e gli permette perciò un totale dominio del corpo; l'avversario è alle spalle e non entra in contatto. Il controllo con il piede è maldestro e produce un innalzamento del pallone che tocca le braccia di Grangvist, impropriamente alte. Tiro da lontano e controllo sbagliato del pallone: rigore. 

Questa formula non è una novità: esiste fin dal 1990 e si proponeva di qualificare la involontarietà. Nei 2008 il designatore Collina introdusse il concetto della carambola: «Ci eravamo accordati con tutti gli arbitri di giudicare involontario il contatto immediatamente successivo tra la testa e il braccio se il gesto prevalente è quello di colpire la palla con la testa». Restava inteso che il tiro doveva provenire da vicino, qualche metro, altrimenti si ricadeva nel controllo sbagliato e nella punizione. 
Con il tempo questo contributo di Collina ha avuto applicazioni non sempre in linea con lo spirito originale. Negli ultimi anni, con Braschi-Nicchi, agli arbitri venne chiesto di punire i contatti del pallone con le braccia lontane dal corpo: in sostanza l'area della involontarietà si sta ulteriormente riducendo per trasformarsi in impatto inevitabile e casuale. Il pallone che vuole velocemente andare verso la tua mano malgrado la tua manifesta volontà di schivarlo.

Ritornando alla gara sarebbe importante conoscere il grado effettivo di collaborazione offerto daRomeo, a 5 metri da Grangvist, con Guida a circa 20 metri. Anche questa soluzione dei 5 arbitri merita molto lav
oro.


PS : Nicchi, nel corso della premiazione AIC di ieri a Milano, ha detto che hanno chiesto un parere all'UEFA in merito alla corretta interpretazione dell'episodio di Juventus-Genoa, in base a quanto scritto da Casarin, questo approfondimento non è affatto necessario e tutto dovrebbe essere già chiaro. Forse Nicchi "non se la sente" di dare ragione a Casarin....

IL VOLTO PIU' BELLO DEL MONDO!!!!!!



domenica 27 gennaio 2013

MPS E PD !

     DIECI DOMANDE (INQUIETANTI) DI UN QUOTIDIANO ON LINE INDIPENDENTE




L'EDITORIALE

10 domande (inquietanti) sul caso Monte dei Paschi

Le responsabilità del Pd. Le distrazioni degli organi di controllo. I dubbi sulla reale intossicazione del sistema bancario italiano. Gli interrogativi sullo scandalo dell'istituto senese.

di Paolo Madron
editoriale
Nel tipico atteggiamento italico di chi si rammarica della fuga dei buoi dopo aver lasciato aperte le porte della stalla, la vicenda del Monte dei Paschi si sta allargando a macchia d’olio, prendendo due direttrici su cui c’è ancora molto da indagare. Quella finanziaria, che riguarda le spericolate operazioni di finanza strutturata fatte dall’istituto senese nel tentativo di raddrizzare i conti. Quella politica, sulla presunta maxi tangente il cui sospetto prende le mosse dall’ingiustificato sovrapprezzo pagato nel 2007 da Mps per rilevare dal Banco di Santander il controllo di Antonveneta, e dalla scoperta di un conto londinese in cui parte di quei soldi (si parla di quasi 2 miliardi di euro) sarebbero finiti e da lì parzialmente fatti rientrare in Italia dopo essere stati fiscalmente scudati, ergo ripuliti.
SCANDALO CHE MINA IL VOTO. Uno scandalo di proporzioni devastanti, che rischia di far saltare il fragile sistema finanziario del paese nonché condizionare gli esiti della campagna elettorale alla vigilia del voto. E che nondimeno pone una serie di interrogativi cui spetterà alle istituzioni di controllo - ivi compresa la magistratura - trovare risposta.


1) I guai del Monte dei Paschi nascono poco prima del crollo della banca d'affari Lehman Brothers, evento che dette l’avvio alla spirale recessiva che ancora ci avvolge. Mps sborsò 9 miliardi di euro per la popolare Antonveneta, che pochi mesi prima il Banco di Santander aveva acquistato per 6. Interrogativi e sospetti che fin da allora analisti e giornali avanzarono sull’operazione non toccarono evidentemente Bankitalia, ovvero colei che autorizzò (in tempi molto, forse troppo, rapidi l’operazione). Come mai?


2) Solitamente compravendite di tale importo contengono nei contratti che le regolano una serie di clausole cautelative. Una, in particolare, è ben conosciuta anche da noi perché esercitata dalla Pirelli quando nel 2001 rilevò il controllo della Telecom. Si tratta di una clausola che consente, in presenza di eventi straordinari tali da stravolgere il contesto in cui la transazione è avvenuta, di rivederne il prezzo. Nel 2001 fu l’attentato alle Torri Gemelle e la conseguenza ricaduta sui mercati finanziari del mondo a farla scattare. Nel caso di Antonveneta un evento dalle conseguenze epocali come la caduta di Lehman Brothers avrebbe giustificato di per sé la revisione. Peccato che quella clausola nel contratto tra italiani e spagnoli non ci fosse. Perché?


3) Per fare l’operazione Antonveneta si sarebbe potuto optare per una soluzione carta contro carta (ovvero uno scambio azionario) o mista, ovvero azioni e contanti. Nulla di tutto questo avvenne, l’acquisto fu pagato cash. Follia? Sì, ma perversamente razionale. Poiché l’azionista di maggioranza assoluta della banca senese, la Fondazione Mps, non voleva diluire la sua partecipazione, si svenò tirando fuori dal suo portafogli 2 miliardi di euro. All’epoca, eravamo in presenza di una normativa che obbligava le Fondazioni a ridurre in modo consistente la loro presenza nel capitale delle banche. E per due ragioni: una, politica, ovvero allentare la presa degli enti locali, leggi la politica, sul mondo del credito. La seconda, perché i criteri di investimento del patrimonio di dette Fondazioni fossero improntati a un basso profilo di rischio. Non solo dunque denaro principalmente investito nella banca sottostante, ma allocato in una serie di asset che meglio salvaguardassero la sana e prudente gestione. Come mai governo e Bankitalia non sono intervenuti?


4) Negli anni precedenti all’acquisto di Antonveneta, Mps aveva avuto almeno due occasioni per ridurre l’asfissiante presa della Fondazione sul suo capitale. Una con la Bnl, con cui gli allora vertici della banca senese proposero la fusione. Un’altra con il Banco di Bilbao, che aveva visto nell’istituto una buona occasione per mettere piede in Italia. Chi fece saltare i due tavoli? Solo la Fondazione o ci furono pesanti pressioni della politica locale perché non si facesse nulla? Che poi, a ben pensare, è la stessa cosa visto che la prima era diretta emanazione della seconda.


5) La politica locale, appunto. Il Pd, che ha governato negli enti - comune, provincia, etc - cui spetta la nomina degli amministratori della Fondazione, porta una responsabilità oggettiva della situazione. Con tuttavia delle attenuanti: per molto tempo le lotte intestine tra Roma e la locale federazione hanno impedito il cambiamento degli assetti proprietari. Dal 2007 in poi Monte dei Paschi ha smesso di essere un istituto di stretta appartenenza piddina, per aprire anche ad altri schieramenti. Non a caso, quando Giuseppe Mussari cercò di cambiare aria puntando al vertice dell’Abi, l’associazione delle banche italiane, tra i suoi sponsor più convinti ci fu l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Può però il Pd onestamente sostenere di aver fatto tutto quello che era in suo possesso per scongiurare l’epilogo che in queste ore la cronaca ci mette davanti? Può dire che sono bastate un anno fa le dimissioni del sindaco Ceccuzzi e il commissariamento del Comune per assolversi dalle sue responsabilità?


6) Chiamata in causa da più parti, la Banca d’Italia rivendica la bontà del suo operato. Lo fa però con motivazioni che rischiano di essere un boomerang. I controlli e le ispezioni fatte, l’ultima nel 2010, avevano rivelato anomalie e alti profili di rischio nella gestione finanziaria, così come evidenziato nei rapporti degli ispettori. E allora perché la banca centrale non è intervenuta per tempo? Ha forse pensato che un cambio dei vertici della banca (per altro rivendicato da più parti) avrebbe costituito di per sé la panacea di tutti i guai? A capo della vigilanza di Bankitalia c’era all’epoca dei fatti Anna Maria Tarantola, oggi presidente della Rai per volere di Mario Monti. La signora non ha nulla da dire su una vicenda le cui irregolarità si sono consumate mentre la sorveglianza era di sua competenza?


7) Si è sempre detto che il sistema bancario italiano è solido, non essendo stato compromesso (se non in minima parte) da quelle operazioni di finanza strutturata che hanno imbottito di prodotti tossici i bilanci di molti istituti esteri. Ebbene, questa vicenda Mps impone una immediata controprova. Ovvero un altro test sulla qualità degli attivi di tutto il sistema bancario, possibilmente facendo in modo che non ci siano casseforti inaccessibili ai vigilanti dove occultare gli asset spazzatura. Bankitalia pensa di muoversi in questa direzione o ritiene di nascondersi dietro la teoria della mela marcia il cui comportamento di malaffare resta un caso isolato?


8) Vista l’impotenza delle autorità di controllo a scovare e reprimere le operazioni di bilancio parallele, non sarebbe il caso che il legislatore si desse da fare per varare una normativa che ne delimita l’uso a fini circoscritti? Si è osservato che il derivato di per sé non è uno strumento del demonio, specie se protegge un investimento dai contraccolpi del rischio. Ma se diventa fine a se stesso, il prodotto finisce per originare una serie di transazioni fuori controllo completamente slegate dal sottostante che le ha generate. Il presidente della Consob ha in questi giorni ricordato un dato che deve far riflettere: a fronte di un Prodotto interno lordo (Pil) mondiale che ha raggiunto lo scorso anno i 71 trilioni di dollari, l’ammontare complessivo delle operazioni in prodotti derivati è di 650 trilioni. Insomma, il mondo è ancora seduto su una mina che può farlo saltare.


9) Ancorché ridotta, l’influenza e il peso delle Fondazioni nel sistema economico italiano non risponde ai necessari requisiti di controllo. Le Fondazioni sono diventate un potere autoreferenziale, che spesso si trova ad amministrare con piena discrezionalità un patrimonio ingente, e che non deve rispondere ad alcuno delle sue (spesso discutibili) scelte di investimento. Occorre che il prossimo governo ripensi completamente una legge che spesso è stata elusa o, come nel caso del Monte dei Paschi, assai tardivamente applicata. Non basta la riduzione della partecipazione nelle banche, non basta la sanzione del conflitto di interessi che scatta in presenza di amministratori che sono contemporaneamente controllori e controllati. Non occorrerebbe forse un controllo più stringente sui flussi di denaro e le finalità del loro impiego? Visto che, in ultima istanza, di soldi pubblici si tratta.


10) Ultima domanda, che riguarda l’attuale pietra dello scandalo. Il governo sta per autorizzare la concessione di un prestito di quasi 4 miliardi di euro alla banca senese, i cosiddetti Monti bond a integrazione degli 1,9 già autorizzati dal precedente esecutivo. Anche qui, sono state introdotte le opportune cautele per ridurre il profilo di rischio dell’intervento statale? Detto altrimenti, il contratto che regola il prestito si preoccupa della futura solvibilità del suo debitore? O, ancora più esplicitamente, sono o saranno attivati gli opportuni meccanismi perché il finanziamento (ora rimborsabile a un tasso d’interesse molto vantaggioso per il prestatore) non si trasformi in una dazione a fondo perduto?
Twitter @paolomadron
Sabato, 26 Gennaio 2013


PER RIDERE !!! MICA TANTO POI !

sabato 26 gennaio 2013

Sondaggi, primo effetto Mps!!


VERSO LE ELEZIONI

Sondaggi,primo effetto Mps: Bersani e Monti giù, Grillo e Berlusconi in rimonta.

Il crac del Monte dei Paschi di Siena fa male, malissimo al Pd e bene, benissimo al Movimento 5 Stelle. Non solo come immagine, conPierluigi Bersani sotto schiaffo e Beppe Grillo nei panni a lui più congeniali, quello del fustigatore. Anche i sondaggi lo confermano. In quello di Sky Tg24realizzato da Tecnè, per esempio, Pd e Sel continuano la loro discesa: dal 35% del 19 gennaio il centrosinistra è passato al 34,1 di oggi. Guadagnano, invece, PdlLega e La Destra che dal 26,5% salgono al 27,6%, guadagnando oltre un punto percentuale. Dallo scandalo Mps non è uscito bene nemmeno il governo. E la diretta emanazione dell'esecutivo dei tecnici, il Centrino di Monti, Casini e Fini, ha subito le conseguenze: il 19 gennaio laLista Monti era al 15,2%, oggi ha perso 1,2 punti fissandosi a un misero 14 per cento. Nuovo sorpasso, allora, per Grillo e 5 Stelle, di nuovo terzo partito con il 14,6% (+0.6% rispetto a una settimana fa). E Ingroia? Rivoluzione Civile è fondamentalmente stabile: rl calo nei sondaggi si può tradurre, inevitabilmente, in un emorragia di voti. Il Partito democratico, attaccato da destra ed eroso in maniera inesorabile da sinistra da quelli che fino a poco tempo fa considerava amici, inizia a farsi i conti in tasca: il terrore è quello di perdere, da qui a un mese, il 4% dei consensi che andranno inevitabilmente a ingrossare le fila di chi sta picchiando duro sulla questione Pd-banche-moralità, vale a dire Antonio Ingroia e, rieccolo, Beppe Grillo. In tutto, si tratterebbe di un milione e mezzo di voti in meno. Se così fosse, Bersani potrebbe scordarsi la vittoria e anche i giochi alla Camera potrebbero clamorosamente riaprisiecupera e torna all'originario 4,8%, ma ancora non riesce a sfondare quota 5 punti. 

venerdì 25 gennaio 2013

Il Pd non c'entra nulla con Mps. Come no!?!?!

Il Pd non c'entra nulla con Mps. Come no/1

L'IPOCRISIA DI TABACCI!
"In Toscana lo sanno tutti che per anni le forze del centrosinistra hanno dato le carte e ripartito i ruoli sul Monte dei Paschi, che è stato una greppia per tanti nella quale anche i popolari hanno fatto la loro parte. D'altronde la stessa vicenda del Pd nasce da tutte queste storie della Margherita e del Pd che pesano, che lasciano il segno e che rendono difficile un reale rinnovamento di uomini e di contenuti (...) Evidentemente il centro di potere, che gravita ancora per poco intorno a Siena, è ancora appetibile dai professionisti della poltrona. Strano perché ci arrivano dichiarazioni di dissesto della banca a ogni piè sospinto che chiedono tagli e sacrifici solo per i dipendenti peones. Questa politica che ci racconta senza spiegarsi il perché la storia di un istituto di credito ridotto al lumicino, lo considera però un luogo da occupare, distribuiti nelle fila di questo o di quell’altro gruppo ritornano sempre i soliti nomi che hanno amministrato e disfatto Rocca Salimbeni".
Bruno Tabacci, 24 ottobre 2012, ex candidato alle primarie del centrosinistra e oggi candidato con il centrosinistra alle elezioni-
Ieri in conferenza congiunta con Vendola e Bersani difendeva il PD!



Il Pd non c'entra nulla con Mps. Come no /2

L'AUTOGOOL DI FASSINA!
Stefano Fassina intervistato  da Repubblica, rispondendo agli “sciacalli” che in queste ore stanno dicendo che il centrosinistra in un certo rapporto con Mps ce l’ha, dice che i nuovi organi dirigenti della Monte dei Paschi di Siena hanno fatto cambiare rotta a Mps, e oggi le cose sono molte diverse rispetto a qualche tempo fa. Dice Fassina: “Grazie alle scelte coraggiose compiute dal sindaco uscente Franco Ceccuzzi, che ha affidato a manager indipendenti e capaci come Fabrizio Viola e Alessandro Profumo la guida dell’istituto, penso che il piano industriale sia in grado di far uscire Mps dalla sua crisi”. In sostanza, Fassina dice che è grazie a un sindaco del Pd (Ceccuzzi) che la banca ha trovato un nuovo assetto e un nuovo piano industriale, confermando quindi in modo sincero e franco che a Siena, ovviamente, la politica, come ricordava tempo fa un esponente del centrosinistra come Bruno Tabacci, ha un ruolo non secondario nell’indirizzare i destini di una banca, e che quindi, indirettamente o indirettamente, una sua responsabilità, seppur politica, ce l’ha in quello che succede nella banca. Nel bene ma anche nel male, no?



Il Pd non c'entra nulla con Mps. Come no /3

LA TRISTE VERITA' DI RENZI !
“La politica non deve mettere bocca su chi una banca deve comprare o no. E il discorso vale anche per quanto successo a partire dalla storica della Banca 121, prima ancora che a partire dalle vicende più recenti. Non c’era la necessità che un certo modo di concepire l’ingerenza della politica arrivasse al punto da dettare la linea (…) Non si può pensare di lavarsi la coscienza facendo a me un attacco sulle Cayman e non rendersi conto che ci sono città in cui i lavoratori rischiano di pagare per scelte sbagliate dettate dall’ingerenza della politica”. 


Il Pd non c'entra nulla con Mps. Come no /4

Il Pd attacca Monti su Mps e si fa autogol !

Il Pd dice che Monti non è credibile nel suo attacco a Mps perché nelle sue liste ci sarebbe un ex membro del cda Mps, Alfredo Monaci. Vero, così come vero è che Alfredo Monaci sia tuttora presidente di MPS immobiliare, come fatto notare oggi dal tesoriere del Pd, Antonio Misiani. Il Pd però dovrebbe essere più completo nell’offrire questo genere di informazioni, perché chiunque conosca un minimo la politica toscana sa che Alfredo Monaci ha un fratello che si chiama Alberto, che è esponente del Pd, che nella vita fa il presidente del Consiglio regionale in Toscana e che nel recente passato è stato uno dei politici toscani che si è più speso per nominare a capo della fondazione Mps Gabriello Mancini, capo della fondazione Mps (ex margherita ed ex consigliere regionale Dc). Gabriello Mancini e Alberto Monaci, come è noto, sono due ex margheritini e due ex democristiani e oggi, politicamente parlando, si trovano su una sponda opposta rispetto a quella del sindaco bersanian-dalemiano Franco Ceccuzzi – e in parte il recente scioglimento del comune di Siena è legato anche allo scontro tra queste due anime politiche presenti nel Pd. Ma Alberto Monaci resta comunque un esponente del Pd, che in Mps ha un suo peso. E condannare Monti perché candida un uomo Mps dimenticandosi, il Pd, che di uomini vicini a Mps il suo partito è pieno zeppo semplicemente fa un po’ sorridere, e dimostra ancora una volta che il Pd, sul caso Mps, non sembra aver azzeccato la strategia giusta per difendersi come dovrebbe

MI E' VENUTO IN DUBBIO, NON E' CHE LA COLPA SIA TUTTA DI QUEL BIRBANTE DI UN
CAVALIERE CHE D'ACCORDO CON RENZI, SUO PUPILLO, VUOLE FOTTERE BERSANI?


IL PERDENTE!!!!!!!!!



 IL BESTARIO 

Pansa: Caro Bersani, pensi di aver vinto ma finirai come Occhetto

Nel 1994 la Gioiosa macchina da guerra del Pds si sentiva il trionfo in tasca. Come allora, Pierluigi è troppo sicuro...


L’alba del 2013 ci presenta subito un enigma politico: chi vincerà le elezioni del 24-25 febbraio? Per ora tutti i pronostici indicano che il vincitore sarà Pier Luigi Bersani, il leader del Pd, insieme all’alleato numero uno, Nichi Vendola. Nelle loro stanze si coglie una grande sicurezza. La coppia B&V è certissima di trionfare. Qualcuno sostiene che abbiano già pronta la lista  dei ministri che comporranno il governo delle sinistre. Ma andrà davvero così? Dal 1948 a oggi, gli eredi del Pci hanno vinto soltanto due volte, nel 1996 e nel 2006. E in entrambi i casi a portarli al successo è stato Romano Prodi, un cattolico cresciuto nella Democrazia cristiana. Nel 1994 Achille Occhetto non aveva saputo battere Silvio Berlusconi. Nel 2001 la coppia Francesco Rutelli e Piero Fassino era uscita dal voto con le ossa rotte. E lo stesso era accaduto nel 2008, l’elezione del trionfo per il Cavaliere e della sconfitta di Walter Veltroni. Sono precedenti che dovrebbero allarmare Bersani. Oggi il fronte delle sinistre non ha un Prodi da offrire agli elettori. Per di più, nelle file dei democratici si insinua il ricordo di un flop storico. È quello della Gioiosa macchina da guerra capeggiata da Achille, lo sfortunato Baffo di ferro. Lunedì sul Corriere della sera è apparsa una lettera di un gruppo di «Democratici per Monti» che sostengono: «Il Pd ha rimesso indietro le lancette dell’orologio. Dov’è sostanzialmente la differenza tra il Bersani di oggi e l’Occhetto del 1994?». La campagna elettorale del Novantaquattro me la ricordo bene, per averla seguita e raccontata giorno per giorno. Se rileggo i miei appunti di allora, mi colpisce la granitica sicurezza di vincere mostrata dal Pds, il partito successore del Pci, e dai suoi alleati. Nel vertice dei capi soltanto due osavano mostrarsi dubbiosi. Veltroni  mi confidò: «Non sono mica così sicuro che ce la facciamo. La sinistra ha un male storico: quello di dividersi». Walter si riferiva alle risse esplose dentro l’alleanza per la spartizione dei collegi sicuri. Massimo D’Alema descrisse quanto stava avvenendo con una parola sola: «Una catastrofe». 
Un furbetto in tv - Occhetto, invece, non aveva dubbi. In tivù si comportava da furbetto ridanciano. Il 1° febbraio 1994, quando otto tra partiti e movimenti dichiararono nato il polo progressista, Baffo di ferro lo presentò così: «Abbiamo messo a punto una gioiosa macchina da guerra contro le destre vecchie e nuove». Allora si sostenne che l’immagine bellica era del capo della Rete, Leoluca Orlando, convinto di passare dal municipio di Palermo a Palazzo Chigi. E Achille, da vero autolesionista, glie l’aveva rubata. Il 26 febbraio, al Palafiera di Roma, Occhetto aprì la campagna elettorale con un comizio duro, ma vecchio stile. L’unica novità era la sfilata di comici e di attori che sfottevano Berlusconi, ridendogli addosso. L’euforia contagiava tutti i progressisti. La vittoria ce l’avevano in mano. Nessuno credeva ai sondaggi del Cirm di Nicola Piepoli. Prevedevano il trionfo di Berlusconi, con la maggioranza assoluta alla Camera: 350 seggi e soltanto 200 ai progressisti. Il sabato 26 marzo, mentre prendevo il Pendolino per recarmi a Milano per votare, dei ferrovieri toscani mi dissero allegri: «Oh, Pansa, domani vinciamo!». Gli replicai: «No, forse perdiamo». E loro, infuriati: «Perdiamo? Ma che dici, Pansa, che dici?». 
Certo, il 2013 non è il 1994. Tuttavia mi sembra che Bersani sia posseduto dalla stessa sicurezza di Occhetto. Il suo stile è diverso, più sobrio e in apparenza distaccato, come se indossi anche lui il loden reso famoso da Mario Monti. Molto meno prudenti sono i  leoncini che lo circondano. Gli avanguardisti democratici non lo sanno, ma si comportano come i loro nonni, gli apparati comunisti e socialisti degli anni Ottanta a Milano. Quelli ci ringhiavano: «Il più stupido di noi sa suonare il violino con i piedi!». Osservato dall’esterno, Bersani è infastidito da due timori. Quello minore è di veder risorgere il fantasma di Berlusconi. Quello più forte è la nascita del polo moderato voluto da Monti. Per questo ha cominciato a domandare al premier da che parte stia. Un quesito assurdo che un leader non dovrebbe mai presentare a un concorrente. Una squadra di calcio si guarderebbe bene dal chiedere alla compagine avversaria da che parte sta. Si sentirebbe rispondere: «Dalla parte della mia vittoria a spese tue». Tuttavia, è un gioco da ragazzi prevedere che di qui al 24 febbraio Bersani continuerà a scaraventare su Monti la stessa domanda. Il motivo lo ha spiegato in un passaggio della sterminata intervista concessa il 30 dicembre al direttore dell’Unità, Claudio Sardo. Vale la pena di cercarlo e leggerlo, perché svela le intenzioni bellicose del leader democratico nei confronti del Professore. Bersani si domanda: «Il suo progetto di lungo periodo è formare una forza legata al Partito popolare europeo, dunque potenzialmente antagonista ai progressisti? Se è così, che cosa dice del fatto che nel Ppe, accanto alla signora Merkel, c’è il populista Orban, senza dimenticare Berlusconi…». Per chiarezza del lettore, aggiungo che Viktor Orban è il premier ungherese. Capisco il disagio irritato di Bersani. Per lui la marcia verso la vittoria sarebbe stata assai più facile se Monti si fosse rinchiuso a Palazzo Chigi per gestire l’ordinaria amministrazione. In quel caso il leader del Pd non avrebbe avuto problemi. Se non quello di decidere se appoggiare il professore nella corsa per succedere a Giorgio Napolitano. Oppure se diventare lo sponsor numero uno di un altro candidato al Quirinale: Prodi, per due volte premier del centrosinistra. Però Monti ha deciso altrimenti. Un passo del tutto legittimo, il suo, in una democrazia parlamentare. Bersani sbaglia a trattare il Professore con la stessa alterigia un po’ sfottente nei confronti di Matteo Renzi nello scontro per le primarie. Monti non è Renzi, lo dico con molto rispetto per il sindaco di Firenze.
La partita della vita - In marzo il premier compirà 70 anni, è un signore orgoglioso, autoritario, cocciuto, freddo, con l’autostima dei primi della classe. E sa benissimo di star giocando l’ultima partita della propria vita, la più importante. La sua è una scommessa cruciale, ma pure molto rischiosa. Vuole sfuggire alla vecchia tenaglia fra destra e sinistra. Un’alternativa che sta perdendo significato in questo tempo drammatico di crisi globale e di nuove emergenze per l’Italia. I nostri compiti a casa non sono finiti. Lo dicono la disoccupazione che aumenta e la mancanza di crescita: due battaglie da vincere, come ci ha ricordato il premier la sera del 28 dicembre, nell’annunciare il suo nuovo impegno politico. Monti ha iniziato un cammino denso di pericoli anche per il prestigio personale. Se fallisce, ha chiuso. Nel senso che dovrà ritirarsi a studiare o accettare qualche incarico nelle istituzioni europee. Può sembrare paradossale, ma in quel caso anche un Bersani vincitore delle elezioni si troverà nei guai. Poiché non avrà nessun possibile alleato sul versante dell’innovazione sotto il segno del rigore. Non credo che il leader democratico sia tanto presuntuoso da pensare di cavarsela da solo, con l’unica compagnia ambigua di un Vendola cresciuto alla scuola di Fausto Bertinotti, un maestro parolaio pronto a ritornare sulla scena. Per questi motivi, se fossi Bersani non farei di Monti un bersaglio polemico, da sottoporre a un cecchinaggio continuo. Difenderei il mio territorio elettorale, ma senza pretendere l’impossibile. Ossia senza chiedere di fermarsi, o di arrendersi in anticipo, a quanti fanno politica in modo pulito. Purtroppo, quando si apre una contesa feroce come quella che sta iniziando, i buoni propositi finiscono nel guardaroba dei cani, si dice dalle mie parti. Tuttavia mettere il letame nel ventilatore non giova a nessuno. Può sempre capitare l’imprevisto che ti manda al tappeto. Se ne ricordi anche lei, signor segretario democratico.

di Giampaolo Pansa
VENERDÌ 25 GENNAIO 


Centrosinistra: Le primarie e le rottamazione sono un farsa!!!!!


Bersani non rottama i mostri "Non mollo Veltroni e D'Alema. Se vinco, a loro una poltrona"

Non li candida, ma il segretario è pronto a richiamarli in una squadra (di governo).


Si può fare", avrebbe risposto Walter Veltroni. E a quanto pare con Massimo D'Alema, i posti in giostra potrebbero essere due. Pier Luigi Bersani non si fa scrupoli. Prima c'è stato l'annuncio dell'auto rottamazione di "Baffino" e Walter, ora invece c'è lo spot del segretario per riportarli in sella: "In caso di vittoria del Pd nel governo si vedrà una nuova generazione, ma personalità come D’Alema e Veltroni non scompariranno. Nel nuovo governo – spiega il segretario – si vedrà fisicamente che sta arrivando una nuova generazione, ma la mia idea è che la mia generazione dà una mano a far girare la ruota, ma non scompare. E D'Alema ringrazia: ”Se si riterrà che io possa essere utile, mi verranno chiamare. E quando ti cercano e ti chiedono di fare una cosa fa sempre piacere". Insomma Pier a mandare in pensione i due big non ci pensa proprio. Nessuna rottamazione. Anzi. E così "Baffino" pregusta già un posto di governo: "A me piace fare politica, e come può vedere io pur non avendo alcun incarico né essendo candidato alle elezioni, faccio politica. Non esiste nessun rapporto tra il ruolo politico che una persona svolge e il posto, perché dipende da prestigio, credibilità e autorevolezza di un persona, cose non necessariamente legate al posto. Ho un ufficio a Bruxelles, non sono disoccupato né in cerca di un’occupazione”. Come dire "io ci sono, se mi chiami...". 
ALLA FACCIA DEGLI ITALIANI SCAMBIATI PER POLLI DA SPENNARE!!!!!

Ingroia a lezione di Costituzione dalla Carfagna !

Che smacco perAntonio Ingroia, a lezione di Costituzione da Mara Carfagna. AServizio Pubblico la deputata del Pdl fa un figurone quando l'ex pm, salito in politica alla guida di Rivoluzione civile, parla di autorizzazione a procedere per gli onorevoli sotto inchiesta. "I politici si sono costruiti una rete di protezione ad classem", attacca Ingroia. La Carfagna lo richiama: "Si deve votare in Parlamento, Papa è andato in galera". Lui si stizzisce: "Vuole insegnare la Costituzione a me?". E Mara replica: "Sì, perché lei la Costituzione la rispetta un giorno sì e un giorno no". Velato riferimento a qualche problemino della ex toga: candidata a Palermo, nonostante la legge lo vieti, e soprattutto scornata dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuto come violazione la decisione della Procura di Palermo di conservare le telefonate intercettate del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell'inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. Quell'inchiesta da cui Ingroia si è sfilato un attimo prima dell'affondamento per tentare la via del Parlamento. E su Twitter il giudizio è unanime: "Al cospetto di Ingroia, Carfagna e Comi appaiono statisti responsabili e ragionevoli", scrive Fabrizio Rondolino. "Brava la Carfagna con le bugie di Ingroia", sentenzia Pierluigi Battista, vicedirettore del Corsera.