martedì 30 luglio 2013

MA IN CHE PAESE VIVIAMO?

UN PAESE O UN PERENNE TRIBUNALE?
Delle due l'una o siamo un paese dove comandano i malfattori di tutti i tipi, politici, mafiosi, spacciatori,trafficanti d'armi etc.) o siamo un paese dove comandano i giudici.
Sembra tutto preordinato, tutto deve apparire marcio per mostrare che l'unica salvezza a difesa della democrazia è la toga!

mercoledì 24 luglio 2013

ORA IL SINDACO DI FIRENZE TREMA!!!!!!!

RENZI TREMA: L’APPARATO PIDDINO PRENDE TEMPO E VUOLE RINVIARE PRIMARIE E CONGRESSO









Per Matteuccio c’è un’altra grana: il piano dei bersaniani di candidare Enrico Letta…

La miccia è già innescata e l'innescche potrebbe far deflagrare tutto sta nel modo in cui verrà separato in due fasi il congresso.l nodo apparentemente tecnico di quando andranno presentate le candidature nazionali svela  il tentativo ostinato di difendere una trincea di potere: mettendo in conto che Renzi vinca le primarie, si lotta quindi sulle percentuali di dirigenti espressi dai «territori» e di quelli attribuibili invece al nuovo leader da stabilire con le nuove regole.Ma sul congresso, già venerdì Epifani presenterà una serie di opzioni: se sullo stop all'automatismo tra segretario e candidato premier, così come sulle primarie aperte, c'è un accordo di massima, l'incertezza regna sovrana sulla data delle primarie nazionali: al punto che i renziani chiederanno che già venerdì sia messo ai voti l'ordine del giorno di Pittella, uno dei candidati, per fissare una data. E il fatto che l'ultima riunione della Commissione congresso sia stata rinviata al 31 luglio e che quindi nulla sarà deciso prima, fa sospettare al renziano doc Giachetti «che qualcuno punti alla prescrizione del congresso». 

logo partito democratico
PARTITO DEMOLITO

Ad accrescere questo sospetto c'è anche la minaccia di una candidatura Letta in chiave anti-Renzi che i bersaniani coltivano come piano b: «Ora si scopre la verità, ma ora che il quadro nel Pd sembra chiarirsi in vista del congresso, ad Epifani non resta che fissare la data», affonda il colpo Ernesto Carbone. Ma anche la parte più politica della Direzione di venerdì presenta un'incognita: Renzi non ha deciso se andare o meno, ma Letta non gradirebbe.

Tirato per la giacchetta, come si usa dire, da chi vorrebbe brandire una sua candidatura al congresso per scoraggiare Renzi; e messo in croce dai «guastatori» che a vario titolo fanno le pulci al suo governo, il premier comincia a covare un sentimento comune a molti suoi predecessori.

Quello di chi non vuole farsi logorare: ragion per cui ha ottenuto che in Direzione vi sia una «conta» sul sostegno ad un esecutivo che non può essere considerato «solo amico». Ma la novità è che ora i lettiani provano a stoppare la candidatura di Renzi, dicendo che «se vuole cambiare l'Italia farebbe meglio ad aspettare le primarie per la premiership: un candidato premier serve quando ci sono le elezioni, non ora».

venerdì 19 luglio 2013

DUE PESI E DUE MISURE !!!!!!

TOGHE DA STADIO - IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI PALERMO IMPALLINA I “SUOI” GIUDICI CHE HANNO OSATO ASSOLVERE MORI

Si accende dunque lo scontro, dopo la sentenza Mori. Il clima si era fatto caldo subito dopo la lettura del verdetto. A Mario Fontana, il presidente del collegio che ha assolto l'ex comandante del Ros e il colonnello Obinu, non è andato giù quel grido, «vergogna», pronunciato da una donna delle «Agende rosse». «Mi chiedo - dice il giudice - che conoscenze ha, del processo, chi grida vergogna. Ha letto tutte le carte? Fomentare questo clima di sfiducia e di "tifo" attorno alla giustizia è sbagliato. Noi siamo solo i giudici di primo grado. Potremmo avere sbagliato o avere visto giusto».
I pm fanno il bagno di folla, sfilando tra le «Agende rosse» Il tifo, il sostegno della gente.Al sitin organizzato davanti al palazzo di giustizia, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi dice che la gente «ci dà la forza di proseguire con il nostro lavoro, malgrado le botte che ogni tanto prendiamo». E il pm dei processi Mori e trattativa, Nino Di Matteo: «Guai se la ricerca della verità si fermasse. Dobbiamo ancora scoprire tanto dei mandanti e dei moventi delle stragi».
Ma come, nessuno dei media ha niente da dire su questo tifo da stadio a favore dei PM, nessuno ha da dire che le sentenze vanno rispettate? Badate bene mi rifesco agli stessi che qualche settimana fa hanno stigmatizzato,creando una caciara mediatica, una manifestazione ordinata e pacifica, senza climi da stadio, organizzata dai parlamentari e dico solo dai parlamentari del PDL. Pataccari e faziosi ecco chi sono i  paladini di questa stampa e questi pseudo politici.

Il grande fatto di questo caso è la presa di posizione del Presidente del Tribunale di Palermo che inaspettatamente IMPALLINA I “SUOI” GIUDICI CHE HANNO OSATO ASSOLVERE MORI.


Leonardo Guarnotta, che è il capo di tutti i giudici del tribunale, fu anche componente dello storico pool antimafia, con Borsellino e Giovanni Falcone: «Le sentenze si rispettano ma si possono criticare - dice a un dibattito - e la sentenza che ha assolto Mori dice che il fatto c'è stato ma non è stato commesso con dolo. Uno Stato come il nostro, che ha paura di conoscere la verità, è senza futuro».
Come dire la giustizia non ha fiducia nella giustizia e la critica!!!!
VERGOGNOSO, SEMPLICEMENTE VERGOGNOSO!!!!!
«C'è un giudice a Palermo», ha detto Mori appena assolto, con una citazione brechtiana («Ci sarà un giudice a Berlino») tutt'altro che casuale.
Si chiama Fontana scrisse la sentenza di appello del «processo del secolo» (scorso), quello contro Giulio Andreotti. Scontentando tutti, accusa e difesa («Anche se - dice ora - entrambe preferiscono vedere solo le parti che gradiscono»), scrisse che il sette volte presidente del Consiglio era stato colluso con Cosa nostra fino al 1980 e ne era divenuto nemico giurato dopo l'omicidio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella. La Cassazione confermò.
Fontana scriverà ora anche la sentenza Mori. Dirà che la trattativa Statomafia non c'è stata? «Aspettate 90 giorni e saprete». Il presidente invita a rileggersi gli atti, a interpretare il dispositivo, la formula «il fatto non costituisce reato». Il colonnello Michele Riccio aveva parlato di una volontà deliberata di non prendere il superlatitante Bernardo Provenzano. Ma il teste era stato smentito dall'attuale procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone («Mai mi parlò di incontri avvenuti tra la sua fonte, il confidente Luigi Ilardo, e il boss»). Riccio era entrato in contraddizione anche con gli altri pm Gian Carlo Caselli e Teresa Principato. La difesa aveva poi parlato di difficoltà operative, di rischio di bruciare la fonte.
Massimo Ciancimino è invece la vera causa della frana della vicenda trattativa: tra ricordi a rate, documenti perlomeno dubbi da lui prodotti, esplosivo in casa e calunnie, non ha certo agevolato i pm.




giovedì 18 luglio 2013

ORMAI SI RASCHIA IL BADILE !!

STATO ALLA CANNA DEL GAS

Sigarette elettroniche tassate per pagare gli stipendi della polizia penitenziaria


Pagare gli stipendi agli agenti della polizia penitenziaria con la tassa sulle sigarette elettroniche. E' il contenuto dell'emendamento che è stato approvato oggi dalla commissione Giustizia del Senato per evitare i tagli di organico. L'emendamento al decreto 'svuota carceri' prevede una tassazione del 58,5 per cento, quanto quella in vigore per il pacchetto di "bionde", da applicare al prezzo di vendita dei kit delle sigarette elettroniche e delle ricariche, sia quelle contenenti nicotina che quelle contenenti essenze. In questo modo si recupererebbero i 35 milioni di mancati introiti provenienti dalla mancata riduzione del personale di polizia penitenziaria nel 2013 e ulteriori 35 milioni nel 2014. Sara' il ministro dell'Economia e delle Finanze, "con decreto da adottarsi entro il 31 agosto 2013", a stabilire le procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico.  Vien da chiedersi: ma se non fossero esistite le sigarette elettroniche, 'sti soldi dove li andavano a prendere?

Stato-mafia, il teorema ko !

Bugiardi e pataccari










La lista di proscrizione del pm Giuliano Ferrara

Sul Foglio i nomi e cognomi dei manettari che per 5 anni hanno chiesto la condanna del generale Mori, assolto dall'accusa di aver fatto sfumare la cattura di Provenzano nel 1995


Ci sono magistrati, giornalisti, televisionisti, politici e membri della cosiddetta "società civile". Giuliano Ferrara, in prima pagina su Il foglio, interviene con la verve che sempre lo contraddistingue nella vicenda dell'assoluzione del generaleMario Mori, compilando una "lista di proscrizione" di quelli che definisce "pappagalli delle procure" e "pataccari" in rotta. Cioè coloro che, nei cique anni della durata del processo conclusosi ieri, hanno sparato ad alzo zero su Mori, accusato di aver fatto saltare la cattura del boss Bernardo Provenzano nel 1995, sostenendone a spada tratta la colpevolezza.
La fine di quello che Il Foglio definisce "il primo capitolo del processo sulla 'trattativa Stato-Mafia'" ci libera, secondo Ferrara, da una lista di "firmatari della menzogna". Tra i magistrati, il direttore del Foglio mette: Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia, Gian Carlo Caselli, Domenico Gozzo. I giornalisti: Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Giovanni Bianconi, Francesco La Licata, Giuseppe Lo Bianco, Sandra Amurri, Saverio Lodato, Salvo Palazzolo, Peter Gomez, Attilio Bolzoni, Liana Milella, Sandra Rizza, Barbara Spinelli, Marco Lillo, Furio Colombo, Guido Ruotolo, Paolo Flores D'Arcais. Televisionisti: Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gad Lerner, Vauro. Politici: Enzo Scotti, Claudio Martelli, Antonio Di Pietro, Giuseppe Grillo, Nichi Vendola, Sonia Alfano, Fabio Granata, Walter Veltroni, Paolo Ferrero, Beppe Lumia, Leoluca Orlando, Rosario Crocetta, Luigi De Magistris, Luigi Li Gotti. Società civile: Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare, Sandra Bonsanti, Salvatore Borsellino, Carlo Freccero, Gianni Vattimo, Roberta De Monticelli, Dario Fo, Isabella Ferrari, Fiorella Mannoia, Moni Ovadia, Franco Battiato, Maurizio Landini.
A futura memoria dei lettori,elettori e cittadini italiani!!!!!!!!!!!!

mercoledì 17 luglio 2013

LE "KAZAKATA" DEL SINDACO !!!!!!


LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA KAZAKATA RISCHIANO DI RIBALTARSI PESANTEMENTE SU RENZI. VENERDÌ IL VOTO DI SFIDUCIA AD ALFANO AL SENATO VEDRÀ ADDIRITTURA ALLARGARSI LA MAGGIORANZA POICHÉ MARONI E LEGA VOTERANNO A FAVORE DEL VICEPREMIER -  SE I RENZIANI AL SENATO NON PARTECIPERANNO AL VOTO, O VOTERANNO PER IL SI' ALLA MOZIONE DI SFIDUCIA DI GRILLINI E VENDOLIANI FARANNO UN CLAMOROSO AUTOGOL - RENZI PUÒ ANCORA SALVARSI SOLO SE FERMA LA SUA RINCORSA AD ELEZIONI CHE NON SONO PIÙ ALL’ORIZZONTE, PERCHÉ BERLUSCONI HA MESSO IN RIGA VERDINI E SANTANCHE’ E NON PRENDERA' LE SUE DECISIONI SULLE FIBRILLAZIONI POLITICHE MA SUI NUMERI - 

LE MOSSE DEL SINDACO !

Il "piano kazako" di Renzi:
far fuori Letta e Alfano
per poi governare

                           Letta e Renzi litigano al telefono Nel Pd sono kazaki amari

Matteo Renzi ha lanciato una nuova sfida al suo partito e alle larghe intese, chiedendo formalmente al premier Letta di prendere posizione e dire se la versione dei fatti fornita da Alfano lo abbia convinto oppure no. "Sia il presidente del Consiglio dei ministri a valutare quel che è successo e prendere posizione a riguardo" ha detto il rottamatore. "Perchè la posta in gioco è la credibilità del Paese". Frasi che se aggiunte a quella pronunciata l'altroieri dallo stesso sindaco di Firenze fanno pensare quale sia l'obiettivo di Renzi: "Non credo - ha detto - che il governo Letta durerà molto".
A rincarare la dose sono il vicecapogruppo del Pd a Palazzo Madama, Stefano Lepri, e altri 12 senatori vicini a Renzi. Non hanno dubbi: Alfano si deve dimettere. In una nota congiunta scrivono: "Chiederemo al Pd, nella riunione dei gruppi domani, di sostenere la richiesta di dimissioni del ministro". Il fronte di chi vuole far fuori il ministro dell'Interno si fa di ora in ora più folto, il governo rischia. Da par suo il premier, Enrico Letta, da Downing Street a Londra dove ha incontrato l'omologo britannico David Cameron spiega: "Ho letto attentamente la relazione che abbiamo chiesto al prefetto Pansa, da cui emerge l'estraneità di Alfano dalla vicenda. Fin dall'inzio ho scelto una linea di massima trasparenza". 
Ma a rendere il contesto così esplosivo non sono soltanto le tensioni sul dissidente kazako e le pulsioni di Renzi, scatenato nella sua corsa verso Palazzo Chigi. Sotto c'è anche altro: le pressioni che ormai da settimane il sindaco di Firenze sta rivolgendo sul Pd e sul segretario Epifani affinchè il congresso sia fissato per l'autunno e, in ogni caso, entro il 2013. Non dimenticando che a tirare fuori tutta la vicenda Ablyazov fu proprio il renziano Giachetti. Difficile, dunque, mettere la mano sul fuoco per quel che i renziani decideranno di fare venerdì in occasione del voto di sfiducia.

MA PERCHE' ALFANO DEVE DIMMETERSI?

"ALFANO SI DIMETTA"












Questo il diktat che ormai da giorni impera sulle bocche dei dem più accesi, sui giornali servi della sinistra, nelle dichiarazioni di chi è interessato: a far cadere il governo ed a cavalcare l'onda favorevole, cioè il Sindaco di Firenze, che poi nemmeno parlamentare è!
Allora assistiamo alla stesura di pagine e pagine di "cazzate" per un caso di cui c'è ne può fregare di meno al contrario di quanto invece ci interessa lo spread che sale e la borsa in picchiata libera, celati abilmente da professionisti delle notizie fuorvianti, confezionate per giornali faziosi e quasi di partito.
E mentre ci sprechiamo per i Kazaghi, lo spread e la borsa ci fanno " il culo" con la complicità di tutti i partiti di opposizione, compresi gli scemi pentastellati, e parte della stessa maggioranza dentro il PD.
E' chiaro che se si insiste sulle dimissioni di Alfano, che ha chiarito in Parlamento la posizione personale e di tutto il governo, cade il governo, quello che vogliono le opposizioni e parte del PD Renzi in testa..
Tutto questo può identificarsi in un atteggiamento serio e costruttivo? E' questo il senso di responsabilità del PD di cui tutto il partito si vanta? Cosa vuole Renzi che parla già da premier e sopratutto chi c'è dietro la sua corsa a Palazzo Chigi? E' proprio necessario un goverso diverso al Paese in questo tragico momento?
Credo proprio di no, ed è per questo che Alfano deve proprio restare al suo posto con buona pace dei beccamorti al capezzale del governo!!!!!!

lunedì 15 luglio 2013

RITRATTO DI BIMBAMINCHIA!!!!!!

IL FESTIVAL DEI BIMBI/BIMBEMINCHIA !!!!!!!



Se l'altro giorno mi sono intrattenuto per spiegarvi come riconoscere un bimbominkia fazioso, oggi vorrei
presentarvi, ammesso che non la conosciate, quella che si può legittimamente definire una bimbaminkia vipera.
La Nostra ha  una vocazione naturale nel calarsi nel ruolo.. O parli dagli studi di una TV, di sinistra naturalmente,o dalle pagine di un giornale, sempre di sinistra, riesce sempre a dare il meglio di se stessa.
L'ultima occasione un articolo, particolarmente velenoso sull' Uffington Post, giornale in collaborazione con il gruppo Rizzoli, praticamente un'altra "la Repubblica", che la nostra dirige:

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"Ci sono tre ragioni, a mio parere, per cui il sistema, cioè quell'insieme di equilibri di potere che si erge in questo momento a garante della stabilità italiana, pensa che sia necessario "salvare" dalla condanna Silvio Berlusconi.
1) Silvio Berlusconi non è Bettino Craxi. Il leader socialista era un prodotto tutto interno alla politica. Craxi aveva molte doti necessarie a capire come muovere il sistema, ma poca "piazza". E soprattutto poco "retroterra". Il suo era un partito che faceva da vaso di coccio tra i vasi di ferro di due organizzazioni inchiavardate nella tensione della Guerra Fredda, la Dc e il Pci. La vicenda Craxi si svolge proprio sulla faglia di scongelamento di questo conflitto, e ne viene per molti versi assorbito come parte di un rimescolamento delle carte nell'intero mondo di allora.
Silvio Berlusconi invece è un leader che ha governato per buona parte di venti anni, non certo come prodotto della "politica", anzi rovesciando al suo interno la capacità di interpretare idee e bisogni popolari, oltre ai suoi interessi personali. Il suo partito, oggi in crisi, ha ancora un consenso che ammonta a un quarto dell'elettorato, ed è un consenso capace di scendere in piazza. Appoggiato inoltre, come ben sappiamo, da una sistema robusto di Tv e altri media. Cosa che Craxi non ha mai nemmeno sognato. Insomma, "estrarre" Silvio dalla Politica oggi è operazione potenzialmente molto più devastante di quella mirata su Bettino.
2) Silvio Berlusconi non è solo un politico potente, ma, come abbiamo appena ricordato, è anche un potente imprenditore: uno degli uomini più ricchi del paese. E non vanno sottovalutate le inquietudini e le paure che una eventuale condanna muoverebbe fra i suoi pari. La "invadenza" della magistratura nel mondo degli affari è una battaglia che Silvio combatte ad alta, ma che molti altri suoi pari, spesso silenziosi per senso della opportunità (propria), condividono. Nel mondo delle Ilva, delle ThyssenKrupp, delle delocalizzazioni selvagge, delle Pomigliano D'Arco, i giudici non sono amici. E quando si parla di "lacci e lacciuoli" di cui liberarsi per dare soluzione alla crisi spesso, come sappiamo, si parla di burocrazia, ma si intendono i tribunali. Una condanna del leader Pdl invierebbe a questo mondo un messaggio certo non ben accetto.
3) Silvio Berlusconi, e anche qui va fatto un paragone, ha una collocazione internazionale molto più solida di quella che aveva Craxi. Nel suo doppio ruolo di grande imprenditore e premier da venti anni è presente sulla scena mondiale. E nonostante le molte critiche ricevute non è esattamente privo di amici. A differenza di Craxi che aveva sfidato gli Stati Uniti in un periodo in cui Washington, delusi dai tradizionali alleati (in Italia la Dc) cercavano nuovi equilibri post-guerra fredda, Silvio ha con Bush un ottimo rapporto. E non ha in Obama - un presidente oggi debole ed esitante di fronte a ogni tipo di ingerenza all'estero - un nemico. In compenso ha come amico un uomo molto importante in Europa, quel Putin che domina vigorosamente la scena mondiale, e la cui amicizia non a caso è ampiamente sfoggiata dal politico Pdl.
Tutte queste ragioni portano a una conclusione che preoccupa il sistema: una eventuale condanna avrebbe un impatto sul tessuto politico italiano e internazionale molto serio. Sicuramente più grave di quello avuto dall'abbandono di Bettino Craxi. Invelenirebbe il panorama italiano, acuendone lo scontro interno. Imbarazzerebbe in via ufficiale (anche se a molti di loro in privato farebbero spallucce) i leaders occidentali, essi stessi messi sotto pressione da contestazioni, ed errori, in una crisi difficile da governare. La prima vittima - continua il ragionamento - sarebbe di nuovo la reputazione italiana, mostrando un paese più diviso che mai, dalla incerta governabilità.
La condanna di Berlusconi sarebbe nei fatti la condanna anche del governo Letta e forse di molti altri governi a venire, per lo strascico di divisioni e fallimento che si porterebbe dietro. Di qui l'aria di trincea, il dispiegamento a difesa intorno al governo Letta, e, anche, le fumisterie legal/istituzionali che oscurano il cuore del dilemma. Che è e rimane uno solo: si può e si deve cercare di "salvare" con un qualche escamotage legal/istituzionale Silvio Berlusconi dal giudizio di una Corte?
Le tre ragioni di cui ho fin qui parlato non sono infondate. Sono argomentazioni serie sulle conseguenze del terremoto che seguirà una eventuale condanna del leader Pdl. Ma, a mio parere, alle tre ne va aggiunta un'altra che da sola è forte come le altre insieme. Ed è la ragione per cui sono contraria che si "salvi il soldato Silvio".
"Salvare" un leader politico che manipola la Giustizia costituirebbe ugualmente per noi un danno alla nostra reputazione internazionale, confermandoci come l'anello debole della governabilità europea. Infine, inasprirebbe comunque la opinione pubblica. Alienando quella parte che vuole una politica con un chiaro rapporto con le istituzioni. Quello che vediamo in queste ore - la serenità di Silvio Berlusconi e le scosse che attraversano il Pd - è l'anticipazione di un diverso (ma ugualmente efficace) processo di disfacimento della stabilità governativa."
Questo il genio creativo della bimbaminkia, la sua partenza è di quelle che non si scordano, paragona B. a Craxi ma per lei quest'ultimo era meno potente,intanto non aveva il consenso di un terzo (e non di un quarto,come la velenosa scrive) del consenso dell'elettorato e poi non aveva tutti quei giornali e TV a favore (e il doppio di giornali e televisioni contro, aggiungo io, dato che la bimbaminchia lo dimentica) e soprattutto non aveva un amico come Putin, quel Putin erede dell'impero sovietico che la nostra velenosa ed i suoi amici adoravano e che ora, perchè amico di Silvio, non è più utile ai soliti opportunisti.
Per questo tutti tenteranno  di salvare Silvio che non va salvato!
Poi un avvertimento a Letta ed al suo governo: se Silvio sarà condannato, come è certa la nostra, sarà come condannare il governo !
Ma che c'entra il governo direte voi? C'entra e come se c'entra perchè per gli amici bimbiminkia della nostra bimbaminchia questo governo non deve durare anzi deve essere demolito!
Un manipolatore della giustizia come Berlusconi deve essere condannato, anzi è già condannato, avverte la nostra,  lanciando messaggi chiari e forti.
Alla faccia della Bimbaminchia che in tutto l'articolo cerca di consigliare (manipolare) , con ragionamenti impresentabili,le coscienze degli italiani!!!!! 




ANCHE PER LE PERSONE NORMALI C'E' UN ALTRA GIUSTIZIA !!!!!!

Sequestrò e uccise il figlio di un industriale 
Pena estinta, libero senza un giorno di carcere









Ormai è un uomo libero, nonostante dei trent'anni di carcere che gli erano stati inflitti non ne abbia scontato neppure un giorno. La sentenza per avere rapito e ucciso il figlio di un industriale catanese non gli è stata notificata. Mai. Giovanni Di Pietro, classe '56, ha atteso che il tempo passasse a Buenos Aires, città dove si è trasferito a vivere prima ancora che il processo finisse. È stata la distanza a "salvarlo", un'estradizione negata, oppure potrebbe essersi trattato di una clamorosa svista? Il suo legale, l'avvocato Tommaso De Lisi del foro di Palermo, da noi contattato si limita a confermare che "la pena è stata estinta per decorso del termine di trent'anni dalla data di irrevocabilità della sentenza. È tutto legittimo". Null'altro aggiunge. O meglio, non vuole aggiungere per riservatezza.

Per saperne di più bisogna scavare nel passato. Si parte, però, da un dato di fatto. Ed è l'ordinanza di "risoluzione di incidente di esecuzione" emessa dalla prima sezione della Corte d'appello di Catania l'8 luglio scorso. Il collegio non ha potuto fare altro che prendere atto della situazione e dichiarare "estinta la pena di reclusione per avvenuta prescrizione". Procediamo per ordine, spulciando le pagine ingiallite delle vecchie cronache giudiziarie dell'epoca. Il 19 maggio 1978 venne rapito Franz Trovato, ventiseienne studente figlio di un facoltoso industriale di Acireale, titolare di alcuni stabilimenti che trasformano gli agrumi in essenze. Franz si era allontanato da casa per andare in un villa di famiglia in contrada Lavinaio. Qui i carabinieri trovarono delle tracce di sangue sulle scale. Poi, la telefonata di rivendicazione: "Abbiamo rapito vostro figlio".

I rapitori chiesero un riscatto di quattro miliardi di vecchie lire. La tragedia, però, era dietro l'angolo. Lo studente sarebbe stato ucciso pochi mesi dopo l'inizio della sua prigionia a colpi di bastone mentre tentava di fuggire. Nel settembre del 1979 Di Pietro viene arrestato in Argentina per rapina, furto e falsificazione di documenti. La polizia gli sequestrò una serie di documenti che tiravano in ballo il suo coinvolgimento nella terribile storia di Franz Trovato. Di Pietro non agì da solo, anche se ammise all'Interpol che lo bloccò una seconda volta nel 1990 a Buenos Aires, di esser stato uno dei promotori della banda composta da dieci persone che ideò il sequestro. Quelle persone furono tutte individuate e arrestate. Il 10 maggio 1979 arrivò la sentenza di condanna, confermata in appello il 6 maggio 1981 e resa definitiva dalla Cassazione che il 28 gennaio 1981 respinse il ricorso degli imputati. Due di loro furono condannati all'ergastolo, gli altri a pene pesantissime. Tra di loro c'era Di Pietro, dichiarato colpevole in contumacia. Nel frattempo aveva fatto le valigie per trasferirsi oltre oceano. E qui si innesca la parte più misteriosa della faccenda.
A fine ottobre 2012 l'avvocato De Lisi, ipotizziamo contattato dal suo stesso cliente, avanza istanza di incidente di esecuzione che, così si legge nell'ordinanza della Corte d'appello, il procuratore generale di Catania ha fatto sua. Alla fine, infatti, la richiesta di dichiarazione di estinzione della pena risulta firmata dalla Procura generale. Nella stessa ordinanza si legge che Di Pietro, "benché risultato reperibile nello stato dell'Argentina, queste autorità hanno sino ad oggi negato l'estradizione del condannato". Il governo argentino disse dunque no all'estradizione di Di Pietro quando la polizia internazionale lo arrestò nel 1990? Già allora non esistevano degli accordi fra Italia e Argentina per il trasferimento dei condannati? Il primo, infatti, risulta siglato nel 1987. Resta da valutare se il caso di Di Pietro rientrava o meno fra quelli previsti dal trattato. Nei corridoi del Palazzo di Giustizia di Catania la notizia non è passata inosservata. E c'è chi ha tirato in ballo una vecchia faccenda. Sembrerebbe, infatti, che all'inizio degli anni Ottanta l'archivio del Tribunale di Catania si sia allagato. Che la sentenza non sia stata notificata a Di Pietro perché è andata distrutta? Il dubbio c'è. Così come c'è la certezza che Giovanni Di Pietro oggi è un un uomo libero.

Sono decorsi i 30 anni entro i quali la condanna doveva essere messa in esecuzione. E potrebbe anche tornare ad Acireale dove alla fine degli anni Settanta rapì e uccise uno studente universitario, figlio di un industriale che si era spogliato dell'abito talare per sposarsi e mettere su famiglia. E si era fatto strada nel mondo dell'imprenditoria. Non poteva certo immaginare, un giorno, di dove piangere un figlio per una morte così violenta.
15 Luglio 2013
Notizia tratta da 

domenica 14 luglio 2013

CACCIA ALLA BERLUSCONIANA !!!!!!

Grillo insulta la Carfagna e su Facebook la minacciano di morte: lei denuncia

La deputata Pdl aveva accusato i grillini di speculare sui guai del Cav. Dopo il post di Beppe, presunti grillini le scrivono: "Ti veniamo a prendere a casa"

La bellissima Mara Carfagna

"Il sonno della ragione produce Carfagna". Beppe Grillo ci era andato giù pesante sulla portavoce Pdl Mara Carfagna in risposta al post della pidiellina sul suo blog. E allora partono gli insulti su Facebook e Twitter. Oltre al caustico commento di Grillo, che firma il post "Mara Carfagna, ex valletta, ex ministro, ex parlamentare Pdl", adesso iniziano le vere e proprie minacce, da presunti militanti del M5S. Accusata di essersi esposta troppo sul caso Mediaset, rete che secondo il grillino Michele Giarrusso doveva essere oscurata per mancanza di concessioni, la Carfagna viene attaccata sui social. "Ti verremo a prendere a casa", si legge in un post pubblicato da un utente Facebook. E lei dà l'ok ai suoi legali di procedere con le denunce per diffamazione e minacce verso coloro che hanno utilizzato nei suoi confronti "affermazioni lesive e gravemente offensive".Non è la prima volta che verso Mara Carfagna vengono usati toni minacciosi. Paga senza dubbio l'identificazione con il nostro partito e la campagna di odio che alcuni gruppi politici conducono con pervicacia..
Chi continua ad avvelenare il clima e a fomentare l'odio contro il Pdl e la politica in generale è nel migliore dei casi un irresponsabile. Non voglio pensare, infatti, che sia frutto di una studiata campagna per disintegrare il Paese.
L'ex ministro affida le sue considerazione al quotidiano "Libero" da cui riprendiamo l'intervista:

Carfagna: "Grillo è pericoloso, usa la violenza per raccatare voti"



"Beppe Grillo fomenta,  genera e promuove questa violenza". La portavoce dei deputati del Pdl Mara Carfagna, bersaglio di insulti e minacce sui social network per aver difeso Mediaset dagli attacchi dei grillini, non ci gira troppo intorno. L’ex comico. Il responsabile dell’invelenirsi del clima è lui.
Come è andata?
"Semplice. Io ho espresso il mio disappunto nei confronti del senatore del Movimento 5 Stelle che ha proposto di “spegnere” Mediaset perché non ha le concessioni. Gli ho fatto notare che bisogna andarci piano con affermazioni di questo genere perché, accecati dall’odio nei confronti di Berlusconi, i grillini dimenticano che sono centinaia di migliaia le famiglie che vivono grazie alle sue aziende".
E Grillo cosa c’entra?
«Invece di rispondermi o di farmi replicare da uno dei suoi, come si fa in una normale dialettica tra avversari politici,  ha innescato un meccanismo di violenza perché mi ha esposto al  ludibrio della rete con una frase che faceva il verso alla mia».
"Attenzione, il sonno della ragione genera mostri", la sua. "Attenzione", la replica dell’ex comico, "il sonno della politica genera la Carfagna".
"Così facendo ha dato il via ai suoi adepti: “scatenatevi”. Mi ha esposta alla lapidazione on line. Sono iniziati a fiorire insulti di una volgarità inaudita. E poi minacce...".
..."ti veniamo a prendere a casa". Pesante.
"Non mi spavento e non ho paura di queste cose, però qui bisogna porre un limite. Non si può più pensare che Internet sia una giungla dove ci sono codardi che ti insultano e poi si vanno a  nascondere dietro quel paravento chiamato 'popolo della rete'. Adesso basta".
Ha ricevuto molta solidarietà. Anche da sinistra.
"Ed è l’unico risvolto positivo di questa vicenda. Internet non è una pertinenza di Grillo come lui vuole farci credere. Sui social network c’è tanta ragione e tanto buonsenso. La solidarietà via web che sto ricevendo in queste ore è straordinaria. Da tutti. Non solo da politici e simpatizzanti di centrodestra. Ci sono tanti cittadini che mi hanno testimoniato vicinanza, pur precisando di non votare per il mio partito, definendo barbaro, violento, inaccettabile l’attacco che ho subìto".
Le urne si sono chiuse mesi fa, eppure i toni sono ancora quelli da campagna elettorale. 
"Grillo è nervoso. Il Movimento 5 Stelle è in caduta libera nei sondaggi e questo è il suo modo di rispondere al calo dei consensi.  Ma non si può pensare di fare politica così, inveendo e insultando.  Nessuno ha la bacchetta magica e noi, è vero, abbiamo commesso errori. Ma almeno  proviamo ogni giorno a trovare soluzioni per gli italiani che sono in difficoltà. Cosa che i grillini non fanno. Sono arrivati in Parlamento, non sanno dove stanno, non sanno cosa fare. Sono lì, si contano i soldi della diaria. Erano partiti per fare la rivoluzione, sono finiti a fare la 'rendicontazione'".
Proprio l’altro giorno Grillo si era vantato di tenere buoni i suoi sostenitori. Quelli che altrimenti 'avrebbero già preso i fucili'.
"Come no... Se avesse un minimo di decenza o un’idea civile del confronto politico avrebbe quantomeno preso le distanze da chi mi ha minacciato. Forse è proprio lui, Beppe Grillo, che vuole imbracciare il fucile...".
intervista di Salvatore Dama

LA LEGGE CHE VALE PER SILVIO !!!!!!

Riportiamo il parere di un autorevole avvocato sulla vicenda che tiene in ansia i destini del nostro Paese, il pronunciamento della Corte di Cassazione sul "Lodo Mondadori"




La legge che vale per Silvio e quella che vale per gli altri !!!!!!!



Domenica 14 Luglio 2013






Accanimento giudiziario o parità dinanzi alla legge? Asservimento del processo a fini politici o ordinaria applicazione della legge e del rito? Le domande sono, da circa vent’anni, sempre le stesse. E tornano prepotentemente a riproporsi ogni qual volta Silvio Berlusconi ingaggi un nuovo duello con la magistratura italiana. Poco importa che sia magistratura giudicante o requirente, giacché quel che conta è che l’esperienza processuale penale, fastidiosa e talora dolorosa qual’essa può diventare per qualunque cittadino italiano, assuma toni e sostanza di battaglia, di scontro esiziale. Alla luce delle vicende che vedono stavolta il leader del Pdl contrapposto alla Suprema Corte di Cassazione, sembra proprio che i contorni del duello finale si profilino in tutta la loro devastante drammaticità.

La fissazione al 30 luglio  della discussione del ricorso avverso le sentenze di condanna subite da Silvio Berlusconi nei due gradi di giudizio di merito del c.d. “processo Mediaset”, ha scatenato offensive dialettiche, dichiarazioni di principio, proclami belligeranti, inquietanti chiamate alle armi. Intendo limitarmi nelle citazioni, anteponendo alle tante solo quelle dei due più autorevoli (ed interessati) interlocutori misuratisi nelle scorse ore sull’argomento: "Una decisione che mi sorprende e mi lascia esterrefatto, e tutti sanno che non sono abituato a usare parole forti". Così il professor Franco Coppi, nuovo difensore di Silvio Berlusconi, colpito nel proposito di "presentare motivi aggiuntivi e memorie" a favore del suo cliente, amareggiato dalla mutilazione dei "tempi di approfondimento assolutamente necessari".

D’altro canto: “La Cassazione ha l'obbligo di determinare l'udienza di trattazione di ogni ricorso prima della maturazione della prescrizione di alcuno dei reati oggetto del procedimento, a pena di responsabilità anche di natura disciplinare, e la Corte ha sempre adempiuto a tale dovere". Così il Primo Presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce, il quale ha aggiunto come "nulla vieti" alla Sezione feriale della Cassazione che dovrà esprimersi sul processo Mediaset di poter ricalcolare la prescrizione e di poter, "nella sua discrezionalità e su istanza della difesa, disporre un rinvio della discussione". "Compito fondamentale del giudice è quello di non far prescrivere i processi. La Cassazione si comporta normalmente così".

Entrambi sanno di non aver detto tutta la verità o, meglio, di averne sottaciuta buona e rilevante parte. Punto dolente è la prescrizione del reato. L’inesorabile decorrere del tempo diventa “fatto” processuale. Ed il tempo, per alcuni imputati, è davvero galantuomo: si abbatte sulla contestazione a loro carico, su tutta o su una parte di essa, sulla formulazione dei capi di imputazione, ne provoca l’estinzione, ne cancella la memoria processuale. Punto dolente è la necessità, stavolta, di evitarla, di arrivare cioè alla pronunzia definitiva che affronti – e risolva – il merito della vicenda e con esso i dubbi sulla legittimità delle condanne subite dal Berlusconi innanzi le corti territoriali.

Punto dolente è la necessità di fissare l’udienza di discussione del ricorso ad appena venti giorni dal suo deposito. La necessità di accelerare i tempi di celebrazione, di strappare la regola, di alterare la prassi, è pienamente e legittimamente avvertita, se è vero com'è vero che per comune e diffusa esperienza – e con l’ovvia eccezione dei giudizi cautelari - tra il deposito del ricorso alla Corte di Cassazione e la sua trattazione in udienza, intercorrono non meno di sei mesi.

Ma si badi bene: la massima parte dei processi per reati “comuni”, cioè quelli che rallentano, ingolfano ed appesantiscono l’ordinario svolgersi del lavoro giudiziario, rendendolo mero e defatigante lavorio, sono soggetti ad un’esistenza piuttosto breve. Quei reati, infatti, si prescrivono quasi tutti in sette anni e mezzo (al lordo delle proroghe), epoca brevissima e quasi ridicola se rapportata alle difficoltà logistiche intimamente connesse alle indagini preliminari ed ai dibattimenti.

Di tal massima parte, una rilevantissima percentuale approda infine al giudizio della Corte Suprema dopo avere conosciuto quelli dei tribunali e delle corti di appello. E la Corte di Cassazione, Giudice di legittimità, deve ad ognuno di essi il giusto vaglio, malgrado siano già maturati i termini di prescrizione o (calendario alla mano) siano prossimi alla maturazione. Ed eccoci al vero problema: come evitare la prescrizione dei reati commessi da cittadini che non si chiamino Silvio Berlusconi? Può ragionevolmente credersi che la Corte si produca sempre in sforzi titanici pari a quello cui sta per sottoporsi da qui al 30 luglio prossimo? E’ davvero quella la normalità? Ovviamente no.

Per chi non si chiami Silvio Berlusconi, e non sia difeso dall'avvocato Coppi, la Cassazione ha in serbo l’esercizio di un potere di censura forse più rigoroso ma, purtroppo, spesso sommario. E’ il potere di dichiarare “inammissibile” il ricorso, cioè di non discuterlo neppure, di ritenerlo ab originenon proponibile perché palesemente infondato, perché strumentalmente proposto, perché non correttamente redatto dal difensore di turno o dall’imputato personalmente. La dichiarazione di inammissibilità evita al Giudice di legittimità di dichiarare la prescrizione, semplicemente perché il ricorso è come se in Corte di Cassazione non fosse mai arrivato.

La dichiarazione di inammissibilità non conosce la fretta, arriva a tempo scaduto, a prescrizione ampiamente maturata, ma brutalmente ti spiega che il tuo tentativo da leguleio è stato vano. Il reato, infatti, non si prescriverà mai, perché tu, meschino difensore, hai inoltrato per il tuo protetto un ricorso che non merita neanche d’essere letto, se non per quel minimo che consenta di apprezzarne la necessaria inammissibilità. C’è persino una Sezione della Corte di Cassazione, la Settima, a ciò dedicata! E tutti noi avvocati sappiamo cosa significhi l’assegnazione del proprio ricorso a quella Sezione.

Anticamera del fallimento di ogni strategia processuale, la settima sezione non indugia in pubblica udienza e dedica ai tuoi argomenti difensivi una fugace camera di consiglio. Poco importa che il tuo ricorso sia stato mirabilmente redatto o abbia eviscerato condivisibili ragioni di puro diritto, perché, come il Primo Presidente dice: “compito fondamentale del giudice è quello di non far prescrivere i processi…. La Cassazione si comporta normalmente così".

La dichiarazione di inammissibilità ha un unico limite: mal si addice ai destini dell’imputato Berlusconi. Difficile credere ad un ricorso inammissibile, se patrocinato dal professor Coppi. Difficile credere ad una condanna “decretata” in camera di consiglio per quell’imputato. Quel che va bene per gli altri, cioè per i tanti, forse non va bene per lui. Io, però, penso ancora agli “altri “, troppi, imputati (e, perché no, agli “altri” tanti difensori). A quelli che ancora s’illudono, ed io con loro, che “compito fondamentale del giudice” sia quello di fare il giudice, di applicare la legge con serenità, di esaminare i fatti e di dar conto delle proprie decisioni con equanimità e raziocinio, magari da primi presidenti.

Finalmente una spiegazione chiara ed in chiave giuridica che ci permette di capire, a noi mortali, senza la faziosità, la bugia e la disonestà intellettuale di molti media, come realmente nel nostro Paese la Giustizia viaggi a due corsie a seconda dei personaggi imputati e delle loro cariche, anche e soprattutto politiche...
Togliamo, allora, dalle aule di giustizia il cartello che la legge è uguale per tutti !!!!!

venerdì 12 luglio 2013

MACALUSO:«Che volgarità... Ma davvero sono volati simili insulti? "






 INSULTI COME "GIUDIZI POLITICI": L'ADDIO ALLA DISCIPLINA DEL PCI

L'ultima polemica che divide il Pd è più ruvida del solito; a tratti, scivola nel turpiloquio. Per ricostruirla occorre tornare a mercoledì pomeriggio, in Transatlantico. Provate a immaginare: il colpo d'occhio è quello delle grandi occasioni. Lampadari accesi e nemmeno più un posto a sedere sui divanetti; gente che parla in piedi, gente che cammina. Deputati, portavoce, portaborse, funzionari, imbucati, cronisti, commessi. Solito circo.
Da pochi minuti è stata votata la decisione di interrompere i lavori per «una pausa di riflessione» chiesta dal Pdl (a favore Pdl, Pd e Scelta civica; contrari Sel, Lega e M5S). In realtà il Pdl, polemizzando con la Cassazione e per esprimere solidarietà a Silvio Berlusconi, aveva chiesto che il Parlamento restasse chiuso addirittura per tre giorni. La mediazione del ministro Dario Franceschini, capo delegazione del Pd al governo, ha ridotto i tre giorni in tre ore. Ma al momento del voto il Pd si è spaccato.
Orfini e D'Alema
Esce dall'aula l'onorevole Matteo Orfini ,38 anni, portaborse da sempre di Massimo D'Alema.
Pochi passi e  si ferma accanto a un gruppetto di cronisti. Chiacchiere, commenti al voto, alla spaccatura del Pd. La conta di quelli che si sono astenuti, di quelli che 
non hanno votato. Come Paolo Gentiloni. Orfini: «Gentiloni è una merda». I cronisti ascoltano, e c'è chi renderà il concetto meno aspro, chi eviterà di riferirlo; 

Gentiloni
Maria Teresa Meli sul Corriere scriverà invece ciò che ha sentito. Appunto: «Gentiloni è una merda».
Orfini, a questo punto, si allontana e, interpellato dai cronisti delle agenzie di stampa, cambia registro. Gli chiedono: cosa pensa dei suoi colleghi che non hanno votato? Orfini, lapidario: «Sono sciacalli». Il giorno dopo, ieri. Tredici deputati del Pd scrivono una lettera al segretario Guglielmo Epifani e al capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Succo della lettera: «Di fronte a veri e propri insulti rivolti da colleghi del Pd ad altri deputati del gruppo, crediamo sia opportuna una valutazione da parte vostra per capire se non siano stati superati i confini minimi della decenza». I firmatari (tra cui Michele Anzaldi e Francesco Bonifazi) siedono quasi tutti tre file sotto a Orfini. Che li osserva gelido. Con uno sguardo, per capirci, simile a quello che metterebbe su D'Alema, tra il perplesso e il disgustato. Orfini, non pensa di aver esagerato? «No». Quelle parole, così volgari... «Io non ho mai detto a Gentiloni che è una merda. Mai. Ci siamo scambiati alcuni sms dopo aver letto i giornali. E lui, con lealtà, ha ammesso di non avermi mai sentito pronunciare una simile parola». Infatti è davanti ai cronisti che lei ha definito Gentiloni in quel modo. «Ripeto: io non ho mai detto che Gentiloni è una merda... mentre non ho problemi a confermare che molti miei colleghi sono degli sciacalli». Nemmeno questo è un bel termine. «Lo so: ma ha la forza di aiutarmi a esprimere un giudizio politico». Continui. «C'è poco da aggiungere: hanno avuto la faccia tosta, lo stomaco, di lucrare su una vicenda complessa come quella che abbiamo affrontato, trasformando un momento di vita parlamentare in un antipasto del congresso. Uno schifo».
Lei, onorevole, continua ad usare concetti molto forti. «Hanno avuto tre ore per porre i loro problemi, ma i dubbi gli sono venuti solo al momento di votare... Sciacalli, Nient'altro che sciacalli». Mentre Gentiloni replica via Twitter («Sono fiero di non aver votato ieri. A @orfini che mi dice: non sei una m. ma solo uno sciacallo rispondo: occhio agli amici del giaguaro»), Emanuele Macaluso, 89 anni, giornalista ed ex sindacalista ed esponente di rango del Partito comunista, sente questi discorsi, queste parole, e trasale. «Che volgarità... Ma davvero sono volati simili insulti? Oh, se ripenso al genere di linguaggio che veniva utilizzato nella sinistra italiana, un tempo, al tempo del Pci...»