lunedì 25 marzo 2013

GIORNALISTI DI SINISTRA:PROFESSIONISTI O GALLINE!!!!


Travaglio dà dello sciacallo a Formigli. Corrado risponde: Coniglio !

Continua la querelle su Pietro Grasso. Stasera il presidente del Senato sarà nello studio di PiazzaPulita. 


Accuse al vetriolo tra Marco Travaglio e Corrado FormigliI fatti: il presidente del Senato, dicendosi ingiustamente accusato giovedì scorso da Travaglio durante il programma di Michele Santoro "Servizio Pubblico", ha chiesto un confronto-contraddittorio il più tempestivo possibile con lo stesso Travaglio o comunque una trasmissione 'risarcitoria' in cui possa dire la sua e replicare.Grasso ha accettato di essere ospite, stasera, da Formigli, ma Travaglio non ci sta e replica  "A Piazzapulita non metterei piede neppure se fossi libero da vincoli",  quindi ribadisce di essere pronto al confronto con Grasso: "Lo farò volentieri giovedì sera a Servizio Pubblico" o altrimenti "sarò lieto di incontrarlo in altre trasmissioni di La7 da lui proposte (da Lilli Gruber, da Mentana, da Lerner), purche' siano garantiti un minimo di agibilità, di equilibrio e di decenza".  Travaglio poi aggiunge: "Se il presidente del Senato continua a fare i giochetti con i suoi compagnucci di partito viene il sospetto che abbia optato un'altra volta per la fuga, insomma come con Caselli gli piace vincere facile". E da quì tutta una serie di recriminazioni che niente hanno a che fare con la querelle ma che somigliano più ad una lite di pollaio, rosso naturalmente.

Morale:Travaglio rinvia il duello tv con Grasso, ma con l'ex pm ha già perso per due motivi:

La spiegazione mignon è questa: Travaglio è sodale di Ingroia & Caselli, nemici storici di Grasso, e questo spiega tutto, fine. La spiegazione più ordinaria invece è quest’altra: Travaglio è, notoriamente, il doberman  di quell’antimafia piagnens che a partire dal 1993 ha avuto i vertici nei cosiddetti «caselliani» (fissati in particolare con Andreotti, Mannino, Carnevale, Contrada, Dell’Utri, Berlusconi, ecc.) e ha sempre avversato colleghi più moderati come lo stesso Grasso o Giuseppe Pignatone, ora procuratore capo a Roma e altro nemico storico di Ingroia; non migliorò certo le cose che Grasso, nel 2005, «scippò» a Caselli la nomina a procuratore nazionale antimafia. 
Ora la spiegazione magnum: la scelta del Pd di respingere al mittente ogni avance politica di Antonio Ingroia, preferendogli Pietro Grasso, non è stata indolore; tantomeno lo è stata la decisione del Pd di difendere Giorgio Napolitano quando il contrasto procedurale tra la procura di Palermo e il Quirinale si fece dirompente per la nota questione delle intercettazioni. L’esito, per ora, è che Pietro Grasso (detto Piero) è stato eletto ed è già presidente del Senato, col rischio che diventasse addirittura premier se non lo fosse divenuto Bersani; Ingroia invece non è neppure stato eletto, la sua Rivoluzione civile ha fatto un bagno e lui rischia di trasferirsi ad Aosta, a processare i clan della Fontina.  Il veleno di Travaglio contro Grasso, dunque, è roba vecchia ma anche freschissima. È il fiele degli sconfitti, ma nondimeno -  una resa dei conti culturale.
Il problema è che attaccare Grasso è complicato. Non è un caso che Travaglio - che giovedì sera non leggeva, e infatti ha fatto un po’ di casino - ha dovuto ricorrere a tecniche indirette, allusive, suggestive, evocazioni velate che rappresentano il peggio del peggio del suo giornalismo: «Grasso non è quello che molti grillini credono... prima di essere magistrato, è un italiano, è molto furbo, è un uomo di mondo, ha saputo gestirsi molto bene, non ha mai pagato le conseguenze di un’indagine». Parole che, a guardare bene, significano nulla. Ma poi: «Grasso si è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini sulla mafia e la politica, si è addirittura liberato quando era procuratore di Palermo di tutti i magistrati che facevano indagini su mafia e politica, si è reso protagonista di alcuni gesti poco nobili, come rifiutarsi di firmare l’atto di appello contro l’assoluzione in primo grado di Andreotti, lasciando soli i sostituti procuratori che avevano presentato questo appello».
Qui le dolose semplificazioni "travagliesche" sfiorano la diffamazione e stanno a significare, meramente, che Grasso riorganizzò gli uffici e mise uomini a lui graditi laddove Caselli aveva messo i suoi. Il resto sono parziali bugie - le condanne più pesanti, come quella a Totò Cuffaro, si devono a Grasso - mentre è verissimo che non firmò l’Appello contro Andreotti, che infatti finì sappiamo come. Il resto è critica per associazione: «Grasso ha fatto dichiarazioni in cui prendeva le distanze da Caselli, ha ottenuto applausi dal centrodestra, l’altro giorno Berlusconi ha detto che Grasso è tutt’altro che un brutto candidato alla presidenza del Senato... Grasso ha proposto Berlusconi per la medaglia antimafia» Infine c’è la questione bruciante della nomina a procuratore nazionale antimafia. Il terzo governo Berlusconi, con un emendamento alla Riforma Castelli, mise fuori gioco Caselli per sopraggiunti limiti di età. Fu eletto Grasso e solo successivamente la Corte costituzionale dichiarò illegittimo l’emendamento che aveva escluso Caselli. Non è chiaro - atteso un dibattito televisivo sul tema - quale sia in ciò la colpa di Grasso, peraltro autorizzato dal Csm che diede via libera alla sua nomina con 18 voti a favore e cinque astensioni.
Sì, è complicato sputtanare Grasso coi soliti metodi "travagliani". Ha 43 anni di carriera, era già magistrato a 24 anni (cosiddetto giudice ragazzino) e si ritrovò subito a rischiare la pelle nel giudicare il maxiprocesso a Cosa Nostra: 400 boss in un dibattimento istruito dal pool di Falcone e Borsellino. Fu consulente della commissione Antimafia del comunista Gerardo Chiaromonte (quando la commissione serviva a qualcosa) e fu vicecapo di gabinetto agli Affari penali ancora con Falcone, prima di essere candidato dal guardasigilli Claudio Martelli per quella procura palermitana che invece fu occupata da Caselli. Poi andò a sostituirlo e a rappresentare appunto una netta discontinuità con Caselli e i vari Ingroia di complemento.
Detto questo,sulle’dichiarazioni ambigue di Grasso,  si può "travagliare" a iosa. In effetti no, non si è mai mosso in un’unica direzione. Nel maggio 2010 dichiarò che la mafia aveva «inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste»: e in molti vi lessero un riferimento a Forza Italia. Poco tempo dopo dichiarò che il centrodestra aveva introdotto leggi eccellenti sulla mafia e che il governo Berlusconi era da premio. Aggiunse pure che Ingroia «fa politica utilizzando la sua funzione. È sbagliato, ma per la politica è tagliato». Aveva ragione, ma figurarsi il Travaglio del giorno dopo: «Ingroia è uno dei pm che indagano sulle trattative Stato-mafia, che quando Grasso era procuratore a Palermo erano tabù, e che coinvolsero anche la Banda Berlusconi». Subdolo come suo solito. Persino Massimo Ciancimino, ex cocco di Ingroia e Travaglio, tentò di sputtanare Grasso: e in effetti mancava. Non c’è riuscito Ciancimino e non c’è riuscito nessuno. Non ci riuscirà Travaglio.



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